Lo spettacolo come azione civile, la messa in scena come parte di una più ampia e capillare attività politica, come luogo di elezione per l’analisi del presente. Milo Rau — abbiamo imparato a conoscerlo — dentro e fuori dalla scena affronta conflitti (bellici, sociali, politici) ancora in atto, o le cui ombre si proiettano lunghe sul nostro presente. Orestes in Mosul, The New Gospel, e il recente Antigone in the Amazon, per soffermarsi in particolare sui tre spettacoli della Trilogia degli antichi Miti, prendono le mosse da un lavoro sul campo: un’operazione di raccolta di fonti, di analisi di testimonianze, di documentazione sui fatti.
Il frutto di questa lunga attività non è solo nutrimento preliminare all’allestimento, ma è più spesso materia viva e sostanza drammaturgica che alimenta la scena, che sostiene la dimensione politica e fortemente ancorata al presente del teatro di Rau. In questo contesto la testimonianza è quindi un concretissimo frammento di storia e, allo stesso tempo, è parola drammatica che agisce sulla scena. Ed è così che, nel teatro come in molte altre delle iniziative del regista e attivista svizzero, le questioni del singolo vengono poste in relazione con un ben più largo orizzonte sociale e storico, acquisendo un ruolo di primo piano in un ampio processo di problematizzazione del presente.
Non tanto diverso è ciò che accade nell’Antigone di Sofocle, un’opera in cui l’agire di una cittadina, che difende il diritto a una degna sepoltura del fratello, sottende la messa in discussione del rapporto tra cittadino e nomos, cristallizzandosi, nella ricezione moderna dell’originale greco, come eterna immagine dell’opposizione al potere, in vista di una giustizia condivisa. Una cerimonia collettiva, dunque, un processo senza giudici, in una dimensione che avvicina quanto accade sul palco dell’NTGent a ciò che succedeva alle Grandi Dionisie. Protagonista di questo rito è Kay Sara, esponente del movimento MST – Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra che, insieme ad altri gruppi “campesini”, da quasi mezzo secolo combatte i soprusi e le espropriazioni perpetrate dal governo brasiliano in nome di un agrobusiness al centro dell’interesse globale.
Il fatto che muove la ribellione di questa Antigone contemporanea è l’uccisione, nel 1996, di ventuno lavoratori della terra, per mano della polizia, nella piccola cittadina di Eldorado dos Carajas, nello Stato di Parà. Un episodio forse poco noto in Europa, ma ben presente nella memoria dei brasiliani e riferimento emblematico per le battaglie combattute dai contadini a livello globale. L’episodio viene rievocato, sullo schermo che occupa il fondale della scena, attraverso una modalità cara al regista, quella del reenactment a cui prendono parte anche alcuni dei contadini sopravvissuti. Sono loro a comporre il coro che accompagna la battaglia di Antigone.
Ed è qui che esplode davanti al pubblico un primo forte e significativo cortocircuito tra realtà e creazione scenica: Antigone, la “teste chiave”, non si presenterà al banco dei testimoni. Kay Sara — come ci comunica l’attore Arne De Tremerie — ha rinunciato alla partecipazione allo spettacolo per restare vicina al suo popolo e alla sua lotta, e comparirà quindi solo in video. A fare le sue veci è Frederico Araujo chiamato a prendersi carico di questa difficile assenza. Insieme a lui sul palco, ricoperto simbolicamente di terra, ci sono il brasiliano Pablo Casella e due storici volti del teatro di Rau: il già ciato De Tremerie e Sara De Bosschere. Sono questi ultimi a raccontare come è nato il lavoro — l’incontro degli attivisti durante una replica di La reprise a San Paolo, la richiesta di lavorare insieme, il trasferimento di Rau tra le popolazioni indigene, lo stop causato dalla pandemia — affiancandosi alle immagini dei video e al racconto di Casella e Araujo, testimoni del presente brasiliano. A loro appartengono i momenti più intensi del lavoro, a partire dall’apertura dello spettacolo: al dolce canto di Casella è affidato, per contrasto, il celebre verso del primo stasimo della tragedia sofoclea, «Molte cose sono mostruose, ma nulla è più mostruoso dell’uomo». Fin da subito la scelta traduttiva — l’aggettivo nel testo greco originale è deinòs, una vox media che spesso viene resa con il termine “meraviglioso” — rende chiara, e in qualche modo definitiva, la posizione del regista nei confronti del testo di partenza e di ciò che accade in scena. Quello che vediamo sul palco è, di fatto, una reazione concreta e senza possibilità di appello a queste prime antichissime parole.
Se in spettacoli come Orestes in Mosul la resa scenica e la dimensione politica erano detonatori di pari forza nell’esplodere le questioni affrontate dentro e fuori dalla scena, in questo caso si percepisce una sorta di sbilanciamento tra ciò che accade attorno allo spettacolo e quello che il pubblico vede di fronte ai propri occhi. La messa in scena appare quasi come un momento di restituzione dell’azione politica che la muove. E, di conseguenza, la creazione artistica cede uno spazio che in molti spettacoli precedenti apparteneva alla rappresentazione e alla riflessione sui suoi limiti, quell’andare oltre la realtà, pur raccontandola, in cui si è spesso riconosciuto il nocciolo dei lavori di Rau. Eppure è proprio in questo snodo che si trova il senso più dirompente dell’operazione del regista: il qui e ora dello spettacolo diventa, senza mediazioni, il qui e ora della società civile.
L’assenza di Kay Sara è il più potente motore di questo slittamento, perché, in qualche modo, è lei stessa, con la sua testimonianza e con il suo esempio, a trascinare il pubblico al suo fianco, fuori dai palcoscenici occidentali. E allora, seguendo i suoi passi, acquista ancora più significato la dichiarazione pubblicata il 13 maggio 2023, al debutto dello spettacolo, «contro la distruzione “sostenibile” della foresta amazzonica e delle popolazioni che la abitano». Nel testo, che può essere sottoscritto qui, si leggono nero su bianco i nomi dei veri “Creonti” di oggi, le compagnie (tra cui Ferrero, Nestlé, Danone, Unilever) che sono in affari con Agropalma, il colosso brasiliano a cui si attribuiscono la maggior parte dei soprusi nei confronti di popolazioni, foresta e terre coltivate. Contro di loro si batte la figlia di Edipo, che siamo invitati a fiancheggiare attraverso il boicottaggio delle aziende coinvolte e attraverso la diffusione di un’informazione non compromessa. A quel canto sulla mostruosità dell’agire umano con cui si apre la tragedia greca, Milo Rau risponde portando fatti, testimoni e parole che avrebbe potuto usare la stessa Antigone: «For our dead, not one minute of silence, but a lifetime of struggle» («Per i nostri morti non un minuto di silenzio ma una vita di lotta»).
Camilla Lietti
in copertina: foto: Kurt van der Elst/NTGent
ANTIGONE IN THE AMAZON
ideazione e regia Milo Rau
testo Milo Rau & cast
in collaborazione col Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST)
con Frederico Araujo, Sara De Bosschere, Pablo Casella, Arne De Tremerie
in video Kay Sara, Gracinha Donato, Célia Marácajá e il Coro dei Militanti del Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra – MST e, nel ruolo di Tiresia, Ailton Krenak
drammaturgia Giacomo Bisordi
visto il 9 giugno 2023 al teatro NTGent