Oratorio per Eva
coreografia e regia di Roberto Zappalà
visto a Scenario Pubblico, Catania_ 20-22 dicembre 2014

Oratorio per Eva è il secondo lavoro di un percorso in tre tappe: un progetto che ha avuto inizio lo scorso giugno 2014 a Palermo con Invenzioni a tre voci e si concluderà nel 2016 con I am beautiful. Il viaggio ex-sperimentale si rivela essere una ricerca della rivelazione e consapevolezza umana; dalla voce all’emblema dell’archetipo della donna tutta umana – qual è Eva, la prima e la madre – si giunge alla cognizione dell’essere filosofico ed estetico, suggerirebbe il titolo della terza tappa.

La coreografia e regia di Roberto Zappalà per Oratorio, s’inserisce nella trilogia Transiti Humanitatis e nasce dalla collaborazione di Compagnia Zappalà Danza, Scenario Pubblico International Choreographic Centre Sicily, con Teatro Garibaldi, Unione dei Teatri d’Europa; ImPulsTanz, Vienna International Dance Festival; Teatro Comunale di Ferrara; Teatro Massimo Bellini di Catania. Invenzioni sarà in replica per Exiles, la stagione di Scenario Pubblico in corso, dal 20 al 22 febbraio.

In Invenzioni le musiche di Johann Sebastian Bach sono eseguite dal vivo al pianoforte di Luca Ballerini e alla viola di Adriano Murania. Sulla scena troviamo le tre danzatrici: Maud de la Purification, Gioia Maria Morisco Castelli e Valeria Zampardi. Lo spettacolo che ha debuttato per ImPulsTanz Special al Teatro Odeon di Vienna dal 3 al 4 dicembre del 2014, celebra il corpo; d’altro canto – suggerisce Zappalà, citando il poeta polacco Jan Twardowski –“occorre avere un corpo per trovare un’anima”.

John Neumeier, Martha Graham, Johann Kresnik, Vaclav Fomič Nižinskij, Jiri Kiliàn, Alwin Nikolais, Pina Bausch, ci appaiono come crocifissi, esposti nella vetrina dei libri, celebrati accanto alla sala dove attendiamo di entrare, per assistere all’ultimo lavoro della compagnia catanese e scoprire nuovi “corpi incompiuti” (dal nome dell’omonimo progetto di Zappalà, attuato tra il 2002 e il 2007). Sarà “devoto, istinto, etico”, ciò che ci aspetta? La t-shirt del regista e coreografo suggerisce “istinto”: per un approfondimento sulla tematica, segnaliamo Corpi incompiuti. Un viaggio nella danza di Roberto Zappalà a cura di Paolo Randazzo, edito da Metaarte.

Il buio e una tempesta di luci rendono cieco lo spettatore di Oratorio per Eva, accolto da fumo e profumo, e da scorci surreali – sia concesso rilevare una parvenza di ambientazione alla David Lynch – in cui troviamo una scena incorniciata da stoffa apparentemente rossa, in realtà si tratta di tulle intrecciato, che ha lo stesso colore trasparente eppure compatto della pelle umana, suggerendo giganteschi cordoni ombelicali. Il tessuti e i costumi sono stati realizzati da Debora Privitera. Ma più che un costume la danzatrice francese Maud de la Purification sembra indossare una seconda pelle. Ed è proprio uno spellamento della veste neonatale quello a cui si assiste quando una partitura senza tempo coinvolge lo spettatore, partecipando alla nascita e venendo letteralmente “alla luce” con la danzatrice.

Per ritornare ciechi, ma con la consapevolezza di bendarsi, per affrontare il mondo, la performer si veste di rosso e danza con le dita dei piedi e delle mani, indicando una direzione che incita al silenzio, alla sospensione di ogni giudizio. Mani come specchi tracciano l’equilibrio spensierato di donna, ma il cuore al laccio viene lanciato e ripreso e sembra di avvertire il biblico avvertimento di Salomone: “amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia”.
Si ritorna faticosamente alla pelle, trascinando i passi, questa volta guardando e riconoscendo i volti, ma presto ci si ritrova cieche. Senza sceglierlo? Tuttavia la decisione e la volontà riaprono le cosce di chi danza, tendendole in ascolto, mentre le voci del Quintetto Zefiro cantano “a Dio” i madrigali di Claudio Monteverdi, talvolta opportunamente interrotti dal violino di Giovanni Seminario.

Si corre per tornare al punto di “partenza”, alla pelle da cui tutto ha avuto inizio ma nel ventre di luce delimitato da fari da palcoscenico la nostra Eva non rientra. L’”ora” è la prima parola che sentiamo pronunciare, ma quante cose significa? Il tempo, l’oracolo e la preghiera evocati in un termine monosillabo diventano vivi nelle accuse: “troia, paradiso, bellezza, inganno, mamma”. L’evocazione di un figlio è l’ultimo strascicato lamento di chi si avvicina, il più piccolo degli otto corpi in transito sulla scena – Orazio Danubio, Agatino Failla, Giuseppe Iuvara, Antonino Leonardi, Gianmaria Musarra, Moustapha Ndiaye Mamadou, Alessandro Pennisi, Agatino Raciti – verso cui Eva-manichino si muove con una sola parte del suo corpo, mentre l’altra metà sembra rimanere gelidamente immobile. Due le parti di una ambiguità dialogica e prettamente femminile, la prima a sbocciare non ci è nota.

Il battito corporeo della performer s’incastra in creste o pavoni simulati con ampi movimenti del corpo, una isteria elettronica genera tecnicismi sonori e linguaggi dal sapore ancestrale, per esprimere un messaggio severo e semplice, per questo efficace. Camminando su metaforici spigoli del corpo, creati da movenze rigide, vengono evidenziati i punti chiave che contengono un immaginario sessuale. Si lancia per aria un desiderio dopo avere toccato un segno di masturbazione e poi si mima un calpestìo, perché poi tornino quei pezzi di femminilità archetipici: mani, capelli, glutei, seno, ventre.

Vincenza Di Vita