Le cri du monde
COMPAGNIE MARIE CHOUINARD
Due danzatrici dal corpo perfetto, si ergono sotto la luce abbacinante di un riflettore, mentre si sfiorano le mani con le punta delle dita in quella che sembrerebbe, a prima vista, una specie di comunicazione tattile. È così che piano piano quei corpi perfettamente forgiati si trasmutano con moti costanti, asimmetrici e spesso anche goffi in creature orrifiche, ferine, primitive. Nell’ondeggiare inumano dei loro corpi sotto una luce tetra s’intuisce il disgusto che può dare un insetto, la ferocia di un giaguaro o perfino quella ancestrale di un dinosauro. S’intuisce soltanto però, perché quelle mani che si sfioravano in un tremore elettrico sono in realtà chissà quale organo percettivo dotato di una comunicazione inaccessibile. Quella che vediamo in scena è dunque una nuova configurazione corporea di cui il performer prende gradatamente consapevolezza e che utilizza poi per entrare in connessione con l’altro, in quelli che sono rapporti di studio, di scambio reciproco. L’energia cambia di forma scorre nel corpo in modi sempre nuovi e irripetibili, mentre ciò che rimane palpabile è la fisicità dell’emozione. Le cri du monde sembra ambientato in una terra selvaggia, una landa desolata in cui esistono solo corpi, luci e suoni governati da un unico e terribile re: l’istinto e i suoi automatismi. Un universo distopico che è il riflesso di un’apocalisse senza tempo e senza scampo.
Marco Macedonio
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView