In concorso per il Leone d’oro alla 77esima Mostra del cinema di Venezia Emma Dante ha presentato Le sorelle Macaluso, versione cinematografica del suo spettacolo teatrale del 2014. Il passaggio sul grande schermo è avvenuto con naturalezza: le cinque protagoniste – che a teatro erano sette – non perdono nulla dell’intensa corporeità che pure il palco teatrale veicolava ben più facilmente. Gridano, piangono, si lavano, ballano, corrono, mangiano, si abbuffano, vomitano, si toccano e quando litigano si picchiano per davvero: sono prima di tutto corpi femminili che attraversano una vita intera, anche se per qualcuna di loro la fine arriva decisamente troppo presto.

C’è Pinuccia, con le sue labbra rosse e i vestiti belli, che nelle stanze non entra ma irrompe; c’è Maria, che nella vita vorrebbe danzare e che poi finisce in un laboratorio a sezionare animali (ma, per giusto contrappasso, ci ricorderemo a lungo della scena in cui la donna danza libera sulle parole di Inverno di De André cantata da Battiato – del resto, come già nello spettacolo teatrale, la colonna sonora scelta dalla regista trascina quasi fosse essa stessa un personaggio). E poi c’è Katia, che da bimba insiste perché nel suo panino ci sia il prosciutto e che da grande è l’unica a essersi sposata e ad aver avuto un figlio; c’è Lia, che adora le paste coi kiwi e che legge tantissimo, anche in piedi, sulla spiaggia, mentre con un ombrello si ripara dal sole, e che continuerà a farsi leggere storie anche quando faticherà a capire il senso della sua, di storia. E infine c’è Antonella, che resta per sempre bambina perché in acqua perde la vita, e che quando dà da mangiare ai colombi in soffitta mette il mangime su un piatto del servizio buono, perché «anche i colombi devono mangiare nei piatti belli» — la principale fonte di sostentamento delle cinque sorelle, vissute senza genitori in una Sicilia imprecisamente collocata nel tempo, è per anni proprio l’allevamento del piano di sopra.

Ma ci sono anche dodici attrici e tre atti: perché i corpi non restano gli stessi negli anni; perché chi vive cambia le proprie forme, mentre chi muore resta immutato nei ricordi; e perché Emma Dante decide di portarci in un tempo lungo, provando così a chiudere in un film una parabola e non un segmento. Poi c’è chi bacia e chi fa l’amore; c’è il brutto scherzo del destino e la malattia; c’è il male fisico, quello che per esempio nel secondo dei tre atti si prende Maria, ma c’è anche il male mentale, che è giustamente raccontato come una fatica quotidiana e non come un’eccezione. A tutto questo si aggiunge anche una buona dose di fatalità, mescolata, come nella vita reale, a necessaria sopportazione.

Il legante, l’elemento che fa sì che tutto si tenga insieme, è la casa: proprio quello sfondo che a teatro non c’era – i corpi delle sette sorelle si stagliavano pallidi su un fondo buio e indistinguibile – diventa qui il centro di tutto. L’abitazione delle sorelle rimane sempre la stessa, mentre le pareti s’ingialliscono, i mobili si rovinano e il buco nel muro – quello dietro il divano, scavato dalla piccola Antonella con le sorelle e da cui forse si vede il mare – rimane sempre lì. La casa all’inizio è giovane, disordinata e confusa tra vestiti e colori, ma poi invecchia, accumulando strati su strati di scatoloni che è difficile aprire per i ricordi che racchiudono. Ed è questo luogo che, soprattutto, dà a Le sorelle Macaluso uno spiccato carattere cinematografico: sono le stanze spopolate, quando le sorelle si chiudono le porte alle spalle, a permettere alla telecamera lunghe inquadrature dall’alto, dove le pareti sono scoloriti piani diagonali convergenti e gli spigoli dei muri mostrano tutta la loro forza nel tenersi uniti, quasi volessero contenere questa famiglia di donne e la loro energia. Non stupisce dunque che a insistere perché la casa venga venduta sia un uomo, il marito di Katia, che non vede l’ora di liberarsi di quel fardello, di quella trappola di ricordi di cui lui non fa e non farà mai parte.

La trama non dà mai l’impressione di essere serrata, perché gli incastri narrativi – che pure ci sono – appaiono come naturali incroci di destini di cui sappiamo esserci persi moltissimi dettagli; sono vite da noi solamente sbirciate, al cinema, come attraverso quel buco nella parete della sala. Le lunghe riprese della facciata del condominio – con le finestre aperte sull’intonaco grigio, le tende svolazzanti e i colombi che volano via e ritornano – sembrano segnare lo scorrere degli anni, il passare di quegli intervalli di tempo che noi non abbiamo potuto vedere. Emma Dante non ha dunque la pretesa di restituirci, condensate, cinque biografie: sarebbe un impossibile infittirsi di dettagli; piuttosto ce ne dà degli assaggi, delicatamente intrecciati e ordinati. Il resto, se vogliamo, sta alla nostra immaginazione.

Virginia Magnaghi


Le sorelle Macaluso
regia: Emma Dante
sceneggiatura: Emma Dante, Elena Stancanelli, Giorgio Vasta
con: Viola Pusateri, Eleonora De Luca, Simona Malato, Susanna Piraino, Serena Barone, Maria Rosaria Alati, Anita Pomario, Donatella Finocchiaro, Ileana Rigano, Alissa Maria Orlando, Laura Giordani, Rosalba Bologna
visto a Venezia in occasione della 77^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica