Un materasso pulsante si contorce sulla scena. L’insolito utero tra piroette festose e convulsioni tormentate partorisce una Lei. Una Lei che – ci spiega una voce off – “ ha più di 25 anni ma meno di 35, o forse più di 35, ma meno di 65 o forse più di 65, ma sicuramente non meno di 5”’. Con Lei, spettacolo vincitore del Premio Sonia Bonacina 2017, la compagnia Sanpapiè esplora gli archetipi femminili attraverso un assolo per corpo di donna, dove continuo è il dialogo tra coreografia, drammaturgia e musica. Nato dalla (ri)lettura di Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estes e Natura uomo donna di Alan W. Watts, il lavoro di Marcello Gori e Lara Guidetti racconta una ricerca tutta al femminile delle proprie radici, della propria essenza più profonda, quella più autentica. Ad accompagnare la protagonista, che lungo una diagonale attraversa gli stadi evolutivi di una Lei bambina-adolescente-donna-figlia-madre, c’è spazio anche per un Lui che ne osserva i movimenti, studiando e provocando la donna. Un ‘contradditorio critico’ utile a ricordare che il vero viaggio va oltre la sfera del sé e si intreccia all’eterno femminino nascosto in ogni essere femminile, come la lupa che, silenziosa ombra, segue Lei dalla notte dei tempi più remoti. Il danzare della donna si fa così eterno e ancestrale: Lei si attorciglia, scalpita, piange, ride, si traveste, si spoglia, vola e piomba a terra. In Lei, nel suo tormento, nel suo desiderio di unità e pace, in quello di una definitiva liberazione c’è qualcosa di ogni altra lei, di ogni dimensione spaziale e temporale.
Intima e vibrante è l’atmosfera che si crea tra la performer e lo spettatore chiamato a interagire nello spazio scenico con semplici ma incisive azioni per lo sviluppo della narrazione. C’è chi porta la fiabesca scarpetta alla moderna Cenerentola, tormentata dalla scelta del giusto tacco (e ruolo) da indossare, chi consegna invece la bambola amica nella quale Lei ora si rispecchia, ora torna bambina, ora sogna forse una possibile rinascita. La scenografia asciutta e fortemente evocativa lascia che ad abitare lo spazio spoglio sia la sola anima femminile di Lei insieme a pochissimi oggetti: un sedile laterale e il simbolico materasso dell’incipit, che diviene ora rifugio, ora insopportabile fardello, ora groviglio di vite sognate o vissute tra nodi da sciogliere e bocconi da digerire. E alla fine Lei, con il respiro affaticato dall’insaziabile danza, si arresta, riempie il materasso della lanugine fuoriuscita e con ago e filo ricuce pazientemente il sacro abitacolo, che ritrova la sua unità forse ammaccata da qualche cicatrice e ferita in più.
Alessandra Cioccarelli