Kilowatt Festival conclude questa edizione 2016 con una serata dedicata alla contaminazione tra letteratura, cinema e teatro. Si inizia con la compagnia de i Sacchi di Sabbia che ha messo in scena I quattro moschettieri in America, una sorta di composizione parodistica in cui i richiami a Jules Verne, ai fumetti contemporanei, al cinema “Billy Wilder style” raccontano lo sbarco negli USA degli eroi di Dumas e il loro scontrarsi con un mondo che tanto dorato non è.

Dall’Auditorium Santa Chiara ci si sposta al Teatro alla Misericordia dove con Gianni  si racconta, con dolcezza, nostalgia e un delicato sorriso sulle labbra, della storia personale dello zio di Caroline Baglioni, artista ideatrice e interprete dello spettacolo. La malattia mentale, le cure errate, i desideri più profondi del protagonista vengono messi in scena dando loro un respiro che va oltre l’individualità del personaggio. La Baglioni riesce infatti a rendere universale questa sua storia familiare e si mostra capace di un’ironia gentile in una mise en èspace coinvolgente.

Salta invece, a causa di un infortunio, il doppio spettacolo de i Los Innato che avrebbero dovuto dare il loro contributo alla serata, così le rappresentazioni si concludono con la piazza gremita di gente per Il Draaago del Teatro dei Venti. Tra maschere dal gusto africano, cavalieri su pertiche, sputafuoco e battaglie con il mostro, bambini e adulti si sono divertiti partecipando a una storia che, seppur classica, ha il pregio di raccontare in modo semplice come il potere non cambi mai, che si tratti di quello di un drago o di un cavaliere eroico.

Vorremmo chiudere questa sorta di reportage con una considerazione che forse sembrerà ovvia, ma che in realtà è intimamente connessa all’idea di festival e meno scontata di quel che può apparire: Kilowatt non è stato semplicemente ospitato dalla meravigliosa cittadina di Sansepolcro, ma ne è stato parte integrante, così come, viceversa, tutti gli abitanti del borgo hanno contribuito al festival.
Fuori dai cinema, dalle chiese, sulle vetrine di negozi e tabaccai le locandine della manifestazione hanno ammiccato ininterrottamente per otto giorni, invitando tutti, turisti e cittadini, a scoprire le proposte teatrali, artistiche e culturali di Kilowatt. I ‘civili’, disponibilissimi, si sono prodigati nel dare indicazioni, raccontare la storia del borgo, indicare le chiese da visitare, i dipinti imperdibili (dalla Deposizione di Cristo del Rosso Fiorentino alla famosissima Resurrezione di Piero della Francesca) e i luoghi di ritrovo per tutta la comunità. È stato semplice avvicinarli e la loro ospitalità è riuscita a contagiare anche chi in questo luogo si è trasferito da altrove.

Al netto di questi zuccherosi e altrettanto doverosi ringraziamenti, volendo davvero comprendere come il festival cambia la cittadina, cosa gli abitanti del luogo cambierebbero e cosa realmente pensano dello strano popolo che, per otto giorni, ha invaso le viuzze del borgo, abbiamo rivolto ad alcuni di loro qualche domanda.

Come Kilowatt cambia Sansepolcro?

Risponde Giacomo che incontriamo in un bar: È un festival che qui ormai non viene percepito come qualcosa di estraneo, ma che fa parte della nostra estate e dei nostri inverni. Siamo pochi abitanti e tra i trenta “Visionari”, che durante l’anno si incontrano tutte le settimane, almeno uno lo si conosce. Non lo percepiamo solo come un festival di teatro, ma come una grande festa per tutti noi, insomma… abbiamo una spiaggia in piazza per quasi dieci giorni e non sono solo i bambini che se la godono! Kilowatt non cambia troppo il borgo, penso piuttosto influenzi chi viene qui per vedere il festival:  alla fine molti di loro, dopo aver conosciuto il paese, non se ne vogliono più andare.

Eugénie che fermiamo per strada racconta: Io mi sono trasferita qui vent’anni fa da una piccola cittadina intorno a Parigi: mi ero innamorata dei tetti di Sansepolcro! Il festival non sapevo si chiamasse Kilowatt, so che è un festival d’arte e di teatro. Cambia il borgo perché porta suoni, luci, musiche e voci da un altrove e il paese si anima in modo completamente diverso rispetto al resto dell’anno. È un bellissimo progetto e un bellissimo sforzo.

Disturbiamo anche Francesco e Martina (che sono fidanzati): Noi in realtà viviamo ad Arezzo e torniamo a Sansepolcro per trovare le nostre famiglie. Da quando c’è Kilowatt, e soprattutto il progetto dei “Visionari”, pensiamo sia diventato un borgo più vivo da un punto di vista artistico. Non si parla finalmente solo di Piero della Francesca, della Torre di Berta che non c’è più e del nostro passato. Sansepolcro sta creando qualcosa che rimarrà anche in futuro, nonostante non si tratti di un’opera d’arte esposta in una Chiesa! È importante soprattutto per i più giovani che hanno la possibilità di vivere un evento, come il teatro che, altrimenti, rimane troppo distante da loro durante il resto dell’anno. Kilowatt chiama tante persone qui, ma la cosa fondamentale è che risveglia chi qui ci abita.

Cosa cambieresti del Festival?

Giacomo: Io di teatro e cultura non mi intendo molto. Vedo alcuni spettacoli, soprattutto quelli che fanno in piazza Torre di Berta e li ho sempre trovati piuttosto piacevoli, sia da vedere che da ascoltare. Quest’anno sono andato a ballare in piazza [si riferisce a Tutorial di Glen ÇaÇi n.d.r.]. C’erano danze di tutto il mondo e vi ho portato i nipotini che ho visto veramente incuriositi da tutte quelle musiche nuove. Penso questo debba essere il teatro, o la cultura stessa: un incontro. Non so cosa cambierei, ma so che vorrei vedere sempre più gente che scambia opinioni, che discute e che si incontra, qui a Sansepolcro come in ogni altra città.

Eugénie: Non penso cambierei nulla. È già diffuso in tutta la città, apre spazi altrimenti non visitabili, crea incontri in ogni piccola piazza e chiunque, anche senza pagare un biglietto, può godersi questa atmosfera. Mi piace passeggiare la sera e vedere tutti all’opera fino a tarda notte, non penso proprio ci sia molto da cambiare!

Francesco e Martina: Noi pensiamo sarebbe bello se potesse durare di più, oppure se si riuscisse a creare un altro appuntamento nel corso dell’anno simile a questo. Non intendendoci di teatro non sappiamo se cambieremmo qualcosa nell’ospitalità data agli artisti o se ne sceglieremmo degli altri: abbiamo visto cose belle e piacevoli e spettacoli che non ci hanno trasmesso nulla, ma pensiamo sia normale. Detto questo crediamo sia sempre possibile migliorarsi, quindi anche Kilowatt ha bisogno di confrontarsi con l’esterno e pare lo stia facendo sempre di più!

Il popolo di Kilowatt… cosa ne pensi di noi?

Giacomo: Spesso io e i miei amici stiamo qui al bar e vi vediamo passare con materiali di tutti i generi, borse piene, vestiti in tutti i modi e questo ci fa ridere, ma non perché vi si scherzi. L’altro giorno un uomo con una testa di cavallo ci è passato di fianco, non capivamo cosa stesse facendo e poi abbiamo scoperto essere di uno spettacolo sull’immigrazione [Kamyon di Michael De Cock n.d.r.]. Non so come un uomo con la testa di cavallo entri in uno spettacolo sui migranti, a noi ha ricordato Shakespeare, ma siamo anziani ormai. La cosa che ci piace di questo “popolo” è che parla con noi cittadini, chiede e si informa, visita i musei, mangia e beve il nostro cibo, ascolta le nostre storie, come stai facendo tu ora.

Eugénie: Sono bellissimi! Vedo persone che girano bendate [The Stranger di Daniele Bartolini n.d.r.], gente che trasporta strumenti musicali, ragazzi ovunque. Il fatto che ci siano molti giovani penso sia la cosa migliore. È un popolo affascinante che non si ferma mai e che riesce a riempire di musica ogni sera del festival.

Francesco e Martina: Vedere persone così appassionate, che lavorano instancabilmente fino a tarda notte per preparare fotografie, per sistemare le scenografie, per riordinare la Piazza Torre di Berta, è un piacere. Dà speranza, non sapremmo esprimerlo meglio. È come se la cultura stesse prendendo fiato. È un popolo estremamente eterogeneo, a volte fin troppo strano, ma non dà fastidio a nessuno, anzi: sono tutte persone assolutamente disponibili a spiegare o raccontare quello che fanno e che vogliono fare. Questa possibilità di scambio è meravigliosa!

Le parole, i gesti e il calore della gente di Sansepolcro ci accompagnano alla scoperta di una dimensione di Kilowatt che certamente immaginavamo esistesse, ma che forse non credevamo tanto forte e pervasiva. In 14 anni di attività il festival è riuscito a far entrare il teatro nella vita quotidiana e nell’immaginario collettivo di un’intera cittadina, dimostrando come il contatto con il pubblico e con il territorio generino un circuito indispensabile ad accogliere e far circolare l’energia generata. Proprio in questo sta il fondamento dell’identità di Kilowatt: oltre gli spettacoli, la volontà di condividere con più persone possibili l’amore per l’arte e per la cultura.

Camilla Fava e Chiara Marsilli