È opinione diffusa che il ruolo del regista, nell’opera lirica, sia marginale rispetto a quello del direttore d’orchestra. Un pregiudizio certo alimentato da messinscene tradizionali, accuratamente didascaliche, oltre che dal gusto conservatore di certi melomani, che mal sopportano gli scostamenti dal canone (si pensi solo ai fischi che alla Scala, nel 2022, hanno accompagnato il Rigoletto, riletto da Mario Martone in chiave politica e contemporanea).
Molto, tuttavia, è cambiato negli ultimi tempi. E non solo per il contributo di registi di prosa affermati che, sempre di più, si cimentano con la lirica, apportando la propria estetica (una pratica che è sempre esistita, si pensi a Visconti, piuttosto che a Bergman, Strehler o Ronconi, e che oggi tutt’al più è stata sdoganata): l’opera sembra aver fatto proprie alcune conquiste del teatro di prosa, tanto per la scelta di soluzioni spaziali che saremmo quasi tentati di definire “sperimentali”, tanto per il lavoro con i cantanti, chiamati non più, soltanto, alla corretta (e possibilmente virtuosa) esecuzione delle arie, ma alla caratterizzazione esaustiva del proprio personaggio.
Due spettacoli andati in scena a Parma ci paiono, in questo senso, esemplificativi. Passato quasi sotto silenzio dalla stampa, l’Erwartung di Arnold Schönberg, ospitato al Teatro Due lo scorso novembre in data unica, è un lavoro prezioso non solo perché basato su di un testo-cardine, assai poco frequentato, dell’espressionismo musicale (ma a settembre è prevista un’altra versione alla Fenice di Venezia, a cura di Daniele Abbado), ma anche per la regia dello spagnolo Calixto Bieito che con un unico, semplice, e a suo modo coraggioso tratto, è riuscito a rendere immediatamente intellegibile l’altrimenti complesso contenuto del monodramma. Acuto e smaliziato, egli ha ridisegnato infatti la Sala Grande, collocando il soprano Ausrine Stundyte (bravissima, ma non c’è bisogno di sottolinearlo) e il pianista Andrej Hovrin che l’accompagna in una platea speculare a quella dov’è seduto il pubblico, sì che lo spettatore si è visto riflesso come in uno specchio. È un gesto semplice, ma che restituisce tutta la temperie emotiva del libretto di Marie Pappenheim. E poco importano, allora, le concessioni – un po’ gratuite – al grand-guignol, col corpo dell’amante insanguinato (Marek Brafa) che viene scovato dalla donna tra le poltrone del teatro: la regia ha fatto, qui, la differenza riuscendo, con la semplice moltiplicazione dei piani, assistita dalle barre a led di luce fredda, verde-acida prima, rosata poi, distribuite sul palco e brandite come un’arma dal soprano, a comunicare visivamente quello che è il tema portante dell’opera: la follia che tutto confonde, sdoppiando il reale in una dimensione sospesa d’incubo.
Ben altra eco sui giornali ha avuto Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, diretto da Pier Luigi Pizzi, che ha inaugurato, a gennaio, la nuova stagione lirica del Regio (l’originale, ripreso a Parma, è stato pensato per il Rossini Opera Festival del 2018). La scena, qui – una piazza luminosa, tra gli eleganti balconi di due palazzi, con tanto di sedie e tavolini, trasformabile all’occorrenza in un essenzialissimo interno domestico – è classica e fin troppo convenzionale. Almeno se paragonata agli ultimi spettacoli del regista (I lombardi alla prima Crociata del 2023, per citare il più recente), che più di una volta ha dimostrato di prediligere le architetture minimaliste, sobrie e geometrizzanti, entro una cornice bianco-nera, appena mossa da inserti colorati “alla Bob Wilson”, esteticamente bellissimi ma inadatti, in questo caso, a un’opera che vive del caos (nella fattispecie, il rosso del mantello del Conte, gli abiti pastellati di Rosina e di Berta). Inaspettato e godibilissimo è stato, tuttavia, il contributo dei cantanti, che sono intervenuti a vivificare l’altrimenti asettico rigore degli scenari non solo col canto, ma con la prossemica dei corpi. Tutto un repertorio di gag, di gesti e di coreografie (gli accenni “rap” di Don Bartolo/Marco Filippo Romano; Figaro/Andrzej Filończyk che si spoglia, si lava e si riveste) che è normalmente di pertinenza del teatro di prosa (per non dire dell’avanspettacolo), e che invece, qui, è stato trapiantato a piene mani – e in modo a tratti eccessivo – per restituire brio a quella che è l’opera buffa forse più celebrata al mondo, grazie anche ad un accorto lavoro di regia, che non ha lesinato, per l’occorrenza, coraggiosi interventi sulla definizione dei personaggi (la r moscia attribuita a Don Bartolo, la balbuzie a Don Basilio/Roberto Tagliavini).
Insomma, tutto questo (ma di esempi, anche limitandosi all’ultima stagione lirica, ce ne sarebbero moltissimi, si pensi solo all’immaginifica Aida di Stefano Poda all’Arena di Verona, piuttosto che alla recente Médée scaligera di Michieletto) per dire che sì, la regia nel teatro d’opera è più viva che mai. Affidata ad artisti che sanno il fatto loro, essa può dare il giusto contributo nel restituire nuova linfa ai capolavori del repertorio. Ed è anzi nel campo della lirica che ultimamente, grazie forse alle maggiori disponibilità economiche di cui godono le produzioni, può capitare di trovare esempi di una regia “autenticamente critica” che spesso faticano, nella prosa, a trovare un adeguato sviluppo e riconoscimento.
Roberto Rizzente
in copertina: Il Barbiere di Siviglia, foto di Roberto Ricci
ERWARTUNG
opera in un atto con musica di Arnold Schonberg
libretto Marie Pappenheim
Ausrine Stundyte soprano
Andrej Hovrin pianoforte
Marek Brafa attore
regia Calixto Bieito
produzione Teatro Arriaga Antzokia
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
commedia in due atti di Cesare Sterbini
edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi
a cura di Alberto Zedda
musica Gioacchino Rossini
Il Conte d’Almaviva Maxim Mironov
Don Bartolo Marco Filippo Romano
Rosina Maria Kataeva
Figaro Andrzej Filończyk
Don Basilio Roberto Tagliavini
Berta Licia Piermatteo
Fiorello/Un ufficiale William Corrò
Ambrogio Armando De Ceccon
Maestro concertatore e direttore Diego Ceretta
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
regista collaboratore e luci Massimo Gasparon
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Martino Faggiani
riallestimento in coproduzione Rossini Opera Festival e Teatro Regio di Parma