Il sipario della sala Shakespeare dell’Elfo Puccini si apre e uno strano rumore inonda la sala: è un tintinnio costante, quasi di cristalli che si cozzano tra loro, che  crea grande suspense sul palcoscenico in penombra. Le luci si alzano e a crescere d’intensità è anche la musica: ora lo spettatore riesce a distinguere nitidamente una quindicina di danzatori. Hanno testa e volto coperti da passamontagna riflettenti, ai cui lati spuntano corna d’acciaio, acuminate come lame. Si muovono su tutto il palco in modo lento, come se si stessero ‘annusando’, come quando il leone studia la sua preda prima di attaccarla. Nessuna identità, solo uomini-fiere che si incontrano e si scontrano in un caos primordiale. I danzatori si muovono in sincro come schiere di armate, brandiscono le corna-coltello che si sono cavate dal capo e urlano come a volersi richiamare. Uno scontro simbolico, una lotta per la sopravvivenza che si trasforma via via in come lotta evolutiva: cadono le maschere e cade, insieme a loro, l’istinto primitivo degli uomini. I coltelli sono sostituiti da bastoni che vengono lanciati senza mai cadere da una parte all’altra del palco tra un compagno e un altro, creando un certa tensione fra gli spettatori che seguono attentamente con lo sguardo ogni scambio.

Ora si vede, infatti, più intesa tra i danzatori che si aiutano l’un l’altro in prese e lanci di gruppo come a raccontare una ritrovata comunità e socialità umana. Anche le rudimentali ‘casacche’ che indossavano i danzatori cedono il posto ai jeans, segno di una civilizzazione imminente. Il cambiamento si percepisce anche nelle musiche, la complessità “sovraumana” di Mozart e Wagner si alterna ora a musiche tradizionali algerine o a più avvicinabili sonorità ‘urbane’, su cui i danzatori mostrano tutta la loro abilità in piroette a testa in giù, fra passi di hip pop e break dance. Come a dire gli stili si mischiano, le culture si amalgamano e anche se ritorna quell’impressione di non identità dell’inizio, questa volta però, il singolo non scompare nel caos, ma si scioglie in un diffuso senso di comunità: un unico corpo di ballo, un’unica cultura mediterranea.

Greta Anastasio


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