Ifigenia, liberata, in scena ancora questa settimana al Piccolo Teatro, accoglie gli spettatori in una sala prove. Fra tentativi, dubbi ed entusiasmi prendono vita le discussioni di un regista (interpretato da Tindaro Granata), una drammaturga (Mariangela Granelli) e dell’intero cast: quali riflessioni cela l’Ifigenia in Aulide? Una telecamera indugia sul tavolo di lavoro, proiettando su un grande schermo sullo sfondo i volumi aperti dei testi che guidano il ragionamento: fra Euripide, la Bibbia e Nietzsche, emerge anche René Girard. Non c’è dubbio che gli studi dell’antropologo e critico letterario francese abbiano, nel lavoro di Carmelo Rifici, il ruolo di un faro, e i frequenti richiami a Edipo che concorrono allo sviluppo dello spettacolo sono come cifre che vogliono ricordarcelo.

Nel 2004 uscì un libro che si può leggere oggi in Italia sotto il titolo di Edipo liberato, e che raccoglie alcuni dei saggi con cui Girard portò avanti negli anni la sua riflessione sul mito. Il primo vincolo che i suoi sforzi si promettevano di rompere era la mitologia freudiana, che fiorendo intorno alla miseria di Edipo impediva la lettura di una verità più profonda: Girard credette di dover liberare la vicenda tebana da una seconda mitologia, meglio celata e più radicata, e smascherò il mito stesso come un’inconsapevole distorsione della realtà. “Liberare” Edipo significava esporre il meccanismo inconscio che muove i gruppi umani all’identificazione di una vittima a cui attribuire la responsabilità di una crisi e su cui convogliare la rivalità e la tensioni reciproche: era tempo di ricondurre alla società umana l’intollerabile responsabilità della propria violenza e di scagionare una volta per tutte il capro espiatorio.

Nel suo lavoro di decifrazione del mito, Girard aveva un importante sostegno nell’adattamento che Sofocle ne fece per la scena ateniese: interrogando e problematizzando la propria tradizione religiosa e culturale, la tragedia del V secolo giunse a intuire l’origine del mito e del rito nel parossismo della violenza collettiva, ma sempre indietreggiò dall’esposizione completa e dalla detonazione del sistema culturale che la presupponeva. Secondo il pensiero cattolico di Girard, soltanto la tradizione giudaica, giunta a maturazione nei Vangeli e soprattutto nella Passione, volle rivelare agli uomini i loro meccanismi espiatori, nel programma consapevole di disinnescarli.

Ma in che modo le riflessioni di Girard su Edipo possono offrire una chiave di lettura per l’Ifigenia euripidea? Leggendo i suoi studi sul problema del sacro in Sofocle ed Euripide, ci si sorprende in effetti nello scoprire che Girard, che pure dedicò grande attenzione a Baccanti, ha lasciato nell’ombra il meno noto dramma gemello. Perché questa tragedia è rimasta intrattata? È possibile liberare Ifigenia, così come Edipo? Se sì, come si può intendere in Euripide la liberazione dalla violenza del mito?

La tragedia offre in effetti una trama tanto limpidamente girardiana che viene spontaneo chiedersi se non sia piuttosto Girard a essere euripideo: la crisi su cui l’azione si apre non è presentata, com’era la pestilenza in Edipo re, come una calamità naturale o una punizione divina, ma come un problema esclusivamente umano. La contesa scoppiata per la bellissima Elena ha portato al dilagare di una violenza reciproca  che minaccia la sopravvivenza del gruppo. Alla putrefazione del tessuto sociale l’astuto Tindaro rimedia escogitando la spedizione punitiva contro Troia: la guerra viene svelata fin dal principio come uno stratagemma espiatorio.

È alla luce di questo che la successiva stasi dell’esercito in Aulide va ripensata come un riaprirsi della crisi sociale, che monta fra gli stretti gorghi del golfo le tensioni fra gli individui e porta a conflitti intestini e ammutinamenti. La soluzione vaticinata da Calcante, che esclude esplicitamente la responsabilità degli dèi, non dista poi molto da quella di Tindaro: per uscire dal “pantano” (così traduce la riscrittura in scena al Piccolo) bisogna immolare  Ifigenia. Ma Euripide non si ferma all’esposizione di una persecuzione sacrificale perfetta e giunge a smascherarne gli inganni, dando prova di quella consapevolezza che Girard rintracciò nei Vangeli: di volta in volta tutti i personaggi in scena si estraniano dalla mentalità persecutoria e, rinsaviti per affetto di Ifigenia, condannano il sacrificio come follia e malattia di un popolo, arbitrario ed empio assassinio.

Se dunque i ripetuti tentativi da parte dei personaggi di evadere dal mito troiano sono sempre risospinti nei circuiti della tradizione dalla massa furiosa dell’esercito, la cui inquietante assenza circonda la scena, non è certo perché Euripide non capì fino in fondo la violenza dell’uomo o perché ebbe timore di denunciarla. La denuncia di Euripide sta nella strategia drammaturgica di offrire continue alternative alla consumazione del sacrificio salvo condurle poi al fallimento una per una; con quest’ultimo capolavoro il drammaturgo in esilio gridava ai suoi concittadini la tragicità di chi sa che i suoi appelli non saranno ascoltati né potranno arginarne la dissennatezza.

L’Ifigenia di Rifici non poteva che concludersi dunque con una ragazzina entusiasta per l’immolazione imminente e con un lieto fine squillante, perché “la verità non la rende libera”, ma libero è chi accetta e fa propria l’ideologia della forza.

Nicola Fogazzi

Ifigenia, liberata
ispirato ai testi di Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari
progetto drammaturgia Angela Dematté e Carmelo Rifici
regia Carmelo Rifici
con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio (Corifea/Ominide), Giovanni Crippa (Calcante/Vecchio/Platone), Zeno Gabaglio (musicista), Vincenzo Giordano (Menelao),Tindaro Granata (regista), Mariangela Granelli (drammaturga), Igor Horvat (Odisseo), Francesca Porrini (Corifea/Ominide), Edoardo Ribatto (Agamennone), Giorgia Senesi (Clitennestra), Anahì Traversi (Ifigenia)
scene Margherita Palli
costumi Margherita Baldoni
maschere Roberto Mestroni
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Jean-Luc Chanonat
progetto visivo Dimitrios Statiris
in video Maximilian Montorfano, Jacopo Montorfano e Agnese Chiodi
produzione LuganoInscena
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e Azimut
in collaborazione con Spoleto Festival dei 2Mondi, Theater Chur
con il sostegno di Prohelvetia, Fondazione svizzera per la cultura

Visto al Piccolo Teatro di Milano _ dal 27 aprile al 7 maggio 2017