Mimmo Cuticchio non ha bisogno di presentazioni: grazie a lui e alla sua famiglia le antiche arti dei Pupi e del cunto siciliano hanno ripreso vita da decenni sulle scene di tutto il mondo – oltre che in rete e in pellicola, ad esempio col film Prove per una tragedia siciliana, 2009, di Roman Paska e John Turturro. Merita invece una presentazione lo scrigno prezioso che ospita a Milano L’ira di Achille: il Gerolamo, storico teatro delle marionette in piazza Beccaria, è un tesoro nascosto e a lungo sepolto in abbandono, finalmente restaurato e riaperto nell’ottobre 2016 (Stratagemmi gli ha dedicato un dossier nel numero 4/ 2007, promuovendo la sua riapertura con incontri e dibattiti).

È una ‘micro-Scala’ di proporzioni perfette con tanto di stucchi, amorini e palchi in miniatura. Ed è proprio qui che oggi, per un corto circuito della storia, l’antica epica greca e la tradizione siciliana si uniscono per far scoprire (o riscoprire) a spettatori vecchi e nuovi un santuario del tempo ritrovato. Per alcuni è un tuffo nel passato (“lo ricordavo più grande” è la frase sussurrata da molti che lo frequentavano da bambini); per i più piccoli è invece un mondo incantato che si svela per la prima volta. Inizia la musica, comincia la magia: Cuticchio entra in scena solenne, brandisce la spada e in un italiano appena venato di siciliano intona con voce grave e profonda il cunto. Trasforma in cantilena ipnotica, arcaica eppure inspiegabilmente moderna, il prologo dell’Iliade di cui cita letteralmente l’incipit “Cantami o Diva del Pelide Achille l’ira funesta..” Subito dopo, affiancato dai fidi collaboratori, schiera il suo esercito di Pupi, paladini di Francia vestiti ‘alla greca’ o ‘alla troiana’ per l’occasione.

La felice contaminazione tra diverse tradizioni orali e performative è evidente nei costumi, nei fondali dipinti, nelle tecniche narrative, nelle musiche: Cuticchio rielabora sapientemente quel racconto che gli antichi rapsodi greci e il loro pubblico conoscevano a memoria, ma molti presenti non ricordano più, o non hanno ancora imparato a scuola. Tutti comunque, anche chi già sa, seguono col fiato sospeso l’avvicendarsi delle scene, dei dialoghi e delle battaglie che in quest’atmosfera magica ha il sapore di una scoperta. Nel decimo anno d’assedio di Troia i Greci affrontano una pestilenza, che a sua volta è causa di un’aspra contesa tra Agamennone, capo della spedizione, e il ‘campione’ Achille. Quest’ultimo si ritira dalla guerra, sordo alle suppliche degli altri Greci e del suo miglior amico, Patroclo: lo lascia combattere al posto suo, con le sue armi, ma poi ne dovrà piangere la morte e tornerà in guerra per vendicarsi, uccidendo a sua volta il principe troiano Ettore. Sul corpo del nemico caduto si concentra il finale dello spettacolo: vertice di straziante bellezza già nell’originale omerico, e tanto forte in questa versione da sembrare il motore ispiratore dell’intera operazione drammaturgica. Ettore, morto o morente (o forse ancora vivo secondo una tradizione già antica), viene trascinato dal carro di Achille, protetto dagli dei perché rimanga intatto, portato in campo greco. Qui viene riscattato dal padre Priamo, in una scena madre che Cuticchio rende con il massimo impatto emotivo, trasportando gli spettatori  in una dimensione irreale, onirica, da cui si risveglieranno con gli occhi lucidi. La drammaturgia è lineare e segue passo passo l’Iliade senza mai banalizzare o semplificare, con appena qualche ‘licenza poetica’ come un Agamennone, villain dai risvolti comici, che prega Apollo di porre fine alla pestilenza per poter riprendere la guerra “e scannarci in santa pace”.

Nel complesso, l’Iliade di Cuticchio merita un posto a buon diritto nell’Olimpo di riscritture e trasposizioni sceniche recenti dell’epica antica (boom globale ampiamente documentato su questa rivista: si vedano ad esempio M. Treu, “Odissee sulla scena. Un eterno ritorno”, Stratagemmi. Prospettive teatrali, n.9, 2009, pp.161-183 e La parola va in scena). Tra queste, nella classifica di popolarità, al primo posto domina contrastata l’Odissea (basti  citare nel 2007/2008 Luca Ronconi col dittico Odissea doppio ritorno e Mario Perrotta col monologo ancora in tournée), segue l’Iliade (ad esempio Iliade. Mito e guerra drammaturgia di Giovanna Scardoni, regia di Stefano Scherini, con Nicola Ciaffoni, tutto esaurito dal 2016 a oggi) e da ultima l’ Eneide virgiliana (Virgilio Brucia di Anagoor, 2014; Human di Lella Costa e Marco Baliani, 2016; Il viaggio di Enea di Olivier Kemeid, regia di Emanuela Giordano, 2017).

In questo ampio campionario, Cuticchio è tra i pochi eletti capaci di far riscoprire il piacere ‘infantile’ del racconto a ‘bambini di ogni età’, che è intento già professato da altri:  dal Teatro del Lemming (Odisseo, Odissea dei bambini –teatrodellemming.it) alla grandiosa Odyssey di Bob Wilson che ha conquistato Grecia e Italia insieme. Quest’ultima in particolare, pur incomparabile per impianto, mezzi, risorse, e molto altro, ci pare intimamente legata all’Iliade di Cuticchio per lo spirito che la anima: la contaminazione di mezzi e tecniche, la musica, il ritmo incalzante delle scene e dei dialoghi, i colori dei costumi e dei fondali, ma soprattutto il piacere puro, intatto, assoluto del racconto, che riscopre l’antica arte dei rapsodi omerici e ci riporta indietro nel tempo, fino all’infanzia. Questo è l’intento di Wilson, come ha più volte dichiarato, raccomandando ai suoi attori di tornare bambini e recitare pensando a “piccoli spettatori ideali”. Anche l’Iliade di Cuticchio, pur con mezzi diversi, sortisce lo stesso effetto. E forse tra i motivi del suo successo, come del boom recente dei poemi epici, proprio nell’era dei social network, c’è il bisogno innato e radicato sin dall’infanzia di ascoltare e riascoltare le stesse storie: non registrate, come sottolineano psicologi e educatori, ma rigorosamente dal vivo, perché prendano corpo e voce. Anche per questo l’educazione all’ascolto, le pratiche performative, la frequentazione dei teatri sin dall’infanzia (che Stratagemmi promuove da sempre, e il Gerolamo può contribuire a rilanciare) dovrebbero avere maggiore spazio nella nostra formazione permanente, anche in età adulta, e rimanere una componente costante e fondamentale, per noi come per i Greci, dell’essere cittadini.

Martina Treu

L’ira di Achille
Drammaturgia e regia di Mimmo Cuticchio
Visto al Teatro Gerolamo di Milano_4-6 maggio 2018