di Tony Clifton Circus
Visto al PimOff _12-14 ottobre 2013

È appena iniziata la nuova stagione al PimOff: ad inaugurarla quest’anno sono i Tony Clifton Circus che presentano il loro ultimo lavoro, Losers.
Il nome del duo, formato da Nicola Danesi De Luca e Jacopo Fulgi, richiama un celebre personaggio creato da Andy Kaufman, il song and dance man americano noto per la sua comicità stralunata e spiazzante (qualcuno ricorderà il film di Milos Forman che ne racconta la vita, Man on the Moon, 1999).

In linea con questa premessa, appare evidente fin dai primi istanti dello spettacolo che ciò a cui si sta per assistere avrà ben poco a che fare con l’ordinario teatrale. Anzi, il duo si premura di prenderne palesemente le distanze: “Noi non facciamo quella roba lì, vero?”, domanda preoccupato uno dei due protagonisti al compagno, mentre Federica Santoro, vincitrice 2012 del premio Ubu come miglior attrice non protagonista, declama in sottofondo – proprio da non protagonista, come ci si tiene a precisare con strizzata d’occhio – un monologo di Bernhard.
“No, non ti preoccupare noi facciamo le nostre solite fregnacce”.
Eppure quest’ostentata sprezzatura nasconde un proposito assai meno naïf di quel che si vuol dare a intendere. L’idea è quella di creare un cortocircuito: riportare la verità sul palcoscenico restituendola al pubblico trasfigurata, iperbolizzata nella sua forma primitiva, il reale.
La struttura della performance si articola così in due parti: la prima consta della presentazione dei performer e di una lunga introduzione in cui i due “Tonies” veri e propri, travestiti da clown, espongono tra il serio e il faceto le loro credenziali, i loro percorsi e come è nato il progetto. In questo frangente lo studio della verità, ancora in una forma teatralmente controllata, quella del cabaret, emerge dal contatto diretto col pubblico, sollecitato e sbeffeggiato da sferzanti provocazioni. La seconda è invece il vero e proprio acme performativo: un incontro di pugilato effettivo, con tanto di presentatore, ragazza cartellone, allenatrici e video-testimonianza della preparazione fisica.
“Il circo e il ring”, spiega in modo eccellente la voce di Attilio Scarpellini durante l’ultima ripresa dell’incontro, “sfruttano la stessa materia poetica, la sofferenza: il pubblico la trova sempre irresistibile. Installare un ring su un palcoscenico è una contraddizione insanabile. Perché tutta la realtà può esser convocata nel quadrato del teatro, ma a patto che nessun reale vi entri mai in gioco”.

Come lo scienziato invaso dal furor della ricerca decide di saggiare su se stesso la bontà delle proprie teorie, così i Tony Cliftons si affrontano in prima persona gettando in faccia allo spettatore l’insanabile patologia che affligge lo spettacolo: desiderio di verità o di finzione? Come uscire da questo loop? È la domanda finale.
La riflessione è intrigante e nient’affatto scontata, benché verrebbe da pensare che ‘il verosimile’ potrebbe essere la categoria a cui appellarsi per dirimere la querelle, con buona pace delle parti in causa. La pecca dell’operazione, tralasciando il rischio di autoreferenzialità, è altrove: lo stimolo intellettuale tiene alla catena quello emotivo e, nonostante i reiterati incitamenti a partecipare, il coinvolgimento dello spettatore ne risente.

Reality? Performance? Meta-teatro? Meta-meta teatro?
Con occhio attento si intuisce che il moltiplicarsi dei livelli può essere semplificato: ci si accorge che quello che rimane è critica pura, pamphlet. Ed è forse proprio questa la chiave di lettura più adatta per riuscire ad apprezzarlo.

Corrado Rovida