Tre donne vestite di soli maglioni sono immerse in uno spazio interamente bianco, un bianco asettico e intenso. Sono donne, ma soprattutto corpi, corpi femminili che iniziano a muoversi, a strisciare, a gattonare sensualmente. Si incontrano, poi si allontanano, come se fossero magneti di segno uguale prima, poi subito dopo opposto. Una di loro si gira verso la platea e con occhi consapevoli di un qualcuno, dall’altro lato, che la vede, fa uscire lentamente dalla sua bocca una pallina rossa, la trattiene tra le labbra, poi la ricaccia dentro. Tocca a un’altra danzatrice. Fa la stessa cosa. E poi, in un alternarsi di movimenti, di ricerca frenetica di un qualcosa di invisibile arrivano tutte – stanche, esauste, ma sempre bramose – sul lato destro di questo spazio bianco che è la scena. È qui la meta, il luogo dove si rivela l’oggetto del desiderio: una sigaretta. Anzi, tante sigarette, anche se sembrano una sola. Perché nel frattempo le tre donne sono diventate un unico corpo, sedute una dietro l’altra, due nascoste dietro alla prima.
Silenzio. Il solo rumore che si sente in sala è quello di un accendino, ma qualcosa non va, non si accende: ed ecco che da dietro la prima figura arrivano in suo soccorso altre quattro braccia, con altre quattro mani, che porgono altrettanti accendini. Le sigarette si moltiplicano e il fumo di ognuna di esse sale lento verso l’alto dissolvendosi, mentre si dissolve lentamente anche la bramosia delle tre. Ora vari oggetti accompagnano i tre corpi danzanti che seguono movenze quasi meccaniche, come se le tre donne stessero ricordando cosa fare, prima di fare. Appaiono lastre trasparenti, lastre riflettenti, aste, una banana, delle fasce rosse per coprire gli occhi, un gelato che cola sulla spalla destra di una di loro. Tutti oggetti che ricordano qualcosa, rappresentano qualcosa, ma che si reificano solo quando entrano in relazione con i corpi delle danzatrici carichi di energia: basta un tocco o anche solo sfiorarli per trasformarli in materiali. Ogni volta che ciò accade però i corpi si fermano, quasi in un fermo immagine, come per sottolineare a noi, spettatori passivi, quasi imbarazzati nel nostro spiare, quell’immagine creata. Sono istanti che subito si dissolvono in favore di altri, come fanno del resto i piaceri immediati dei vizi. Cosa sono del resto i vizi, se non desideri che diventano sempre più grandi, sempre più ingombranti: quelle piccole palline rosse dell’inzio ora diventano un enorme pallone dello stesso colore. Un vizio è qualcosa che può convivere con noi o diventare un gigante che ci sovrasta con il suo peso. Un paradiso artificiale pronto a schiacciarci.
Marianna Santonastaso
(ph: Giovanni Chiarot)
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