Tamburo di Kattrin ha pubblicato, all’interno di un numero monografico dedicato ai festival, un utile “Tutorial”: gli organizzatori dei più importanti festival italiani hanno condiviso le loro strategie per mettere a punto un progetto innovativo ed efficace, e per collocarsi con consapevolezza all’interno del panorama nazionale. Come si costruisce il rapporto con il territorio? Come ci si conquista la fiducia degli spettatori? E come dosare l’esigenza di allargamento del pubblico e la volontà di non compromettere la qualità della proposta? L’Ultima Luna d’estate – il festival organizzato da Teatro Invito dall’1 all’11 settembre tra il Parco del Curone e le colline della Brianza – sembra aver trovato una propria personale ricetta. Gli ingredienti sono: un forte legame con il territorio di accoglienza (Lecco e dintorni), un fil rouge capace di attraversare gli appuntamenti in cartellone, e un buon equilibrio tra solide proposte già sperimentate, nuove produzioni e sguardi innovativi.

Il protagonista dell’edizione di quest’anno è il Bardo. Ma non si tratta solo dello scontato omaggio per le celebrazioni dei quattrocento anni dalla sua morte: il festival sembra piuttosto mettere sotto i riflettori un certo modo libero e spregiudicato di guardare i classici, di farli propri, di contaminarli. Il carnet è vario, e Teatro Invito ha mescolato con sapienza spettacoli ormai rodati (Di a da in con su per tra fra Shakespeare di Serena Sinigaglia e Amleto Avvisato Mezzo Salvato della Filarmonica Clown con regia di R. Sarti) e titoli meno noti e più recenti (Shakespeare the Great Rapper di Teatro in-folio). Ad accomunare le proposte sono i linguaggi accessibili, coinvolgenti, contemporanei: la narrazione diretta e biografica della Sinigaglia, i tempi comici ben orchestrati da Renato Sarti, il blanke verse trasformato in rap da Teatro in-folio. Nella stessa direzione va il titolo scelto da Teatro Invito come propria produzione da inserire nel cartellone del festival: Macbeth Banquet, ovvero la tragedia shakespeariana raccontata ai fornelli (qui la recensione), tra un taglio di tuberi e un bicchiere di vino rosso. Un modo per dire agli spettatori dell’Ultima Luna – che non sono solo addetti ai lavori – che il teatro, talvolta, può essere molto comprensibile e poco autoreferenziale.

Ha cominciato così a farsi amare dal grande pubblico, dopo tutto, anche Marco Paolini, nome traino di questa edizione. Il suo nuovo Album Numero Primo ha registrato il tutto esaurito e chiusura di ogni lista d’attesa. L’autore bellunese, noto per un teatro di fatti, di inchieste e di testimonianze, spesso legate alla terra natia e alle vicende più torbide del recente passato, cambia ora orizzonte di indagine. Oggetto dell’opera di Paolini sono i prossimi 5.000 giorni del Nord-Est italiano vissuti da un bambino, chiamato Numero Primo, e da suo padre Ettore. Paolini propone a teatro un esperimento di narrazione fantascientifica in cui dare libero sfogo alle proprie capacità di racconto arricchite da trovate surreali e, allo stesso tempo, forse non così lontane dal prossimo futuro. Dal passato recupera il tono autobiografico, che ricorda alcuni dei suoi primi lavori, e l’attenzione riservata a tematiche attuali, dal rapporto con le tecnologie a quello con l’ambiente.

Ma se il pubblico ama la comunicazione immediata e la parola limpida di Paolini, sarà compito del festival far assaggiare agli spettatori fedeli anche altre possibilità. Ed ecco Mariangela Gualtieri, un’altra grande personalità del teatro e della poesia, forse meno conosciuta al grande pubblico, ma molto cara agli intenditori. Con Bello Mondo l’attrice-poetessa-drammaturga porta in scena alcune delle sue liriche più belle tratte per la maggior parte dalla raccolta Le giovani parole (Einaudi 2015). Uno spettacolo che è anche il simbolo di un’intenzione che attraversa tutto il lavoro dell’autrice: quella di riportare la poesia orale al centro del rito collettivo. A questo scopo da anni la Gualtieri, nell’ambito della sua attività con la compagnia Teatro Valdoca, si occupa dello studio della voce e del suo rapporto con la musica. Non è un caso che una delle prime versioni di questo lavoro prevedesse la declamazione dei versi dalla torre civica di Santarcangelo di Romagna da cui, come da un minareto, prendeva avvio la liturgia del Festival Internazionale del teatro in Piazza. Un “rito sonoro”, come recita la didascalia dell’opera, che omaggia il passato, in particolare nella figura di San Francesco d’Assisi, e celebra la meraviglia del mondo in un contesto unico e raccolto come quello del Chiostro San Giovanni (La Valletta Brianza).

Il festival è infatti anche un’occasione per scoprire le bellezze della Brianza lecchese e monzese: ville, parchi, ex-conventi, chiostri e addirittura boschi fanno da palco e scenografia agli spettacoli in programmazione. Un’attenzione al territorio non solo in termini “paesaggistici”, ma anche artistici e culturali, che dialogano grazie all’attività degli organizzatori. Proprio a questo proposito è nato il “marchio geografico e di qualità artistico-culturale” BIS! Brianza in scena che, su iniziativa di tre associazioni locali Teatro Invito, Piccoli Idilli e ScarlattineTeatro, mette a sistema l’energie artistiche di festival più interessanti del territorio. Da questa sinergia nasce lo spettacolo La tempesta diretto da Luca Radaelli: un percorso itinerante condotto da undici attori che guidano il pubblico all’interno di una delle opere più oscure e immaginifiche del Bardo.
In questo filone si inserisce anche Senza Sankara, spettacolo sostenuto dal Mibact nell’ambito del progetto Migrarti, della compagnia Piccoli Idilli, tra le promotrici di BIS!. Guidati dal regista Filippo Ughi, cinque artisti burkinabé raccontano la nascita e la fine di un’utopia, quella del rivoluzionario Thomas Sankara. Attraverso la contaminazione dei linguaggi – il teatro si fonde con la danza, la musica (suonata dal vivo), e il canto – gli artisti condividono con il pubblico brianzolo parte della loro storia, che si conclude con l’approdo, nella maggior parte dei casi in clandestinità, in terra europea.
Una scelta, quella di sostenere giovani compagnie locali e artisti in fase di crescita, che caratterizza una parte importante del festival e impegna molte delle energie di Teatro Invito anche durante la stagione, con il brand BIS!, ma non solo.
Così, per esempio, ha debuttato all’Ultima Luna la giovane compagnia Trento Produzioni (riconosciuta dal Mibact tra le realtà under35) con un progetto dedicato a Dino Buzzati di cui, il 16 ottobre, si celebrerà il centodecimo anniversario della nascita. Con La boutique del mistero la compagnia torna ad esplorare le atmosfere rarefatte dello scrittore bellunese già affrontate qualche anno fa nel fortunato adattamento de Il deserto dei Tartari. Questa volta però l’impresa è forse più ardua della precedente data la dimensione antologica dell’opera di riferimento: La boutique è infatti una sorta di compendio (trentuno i racconti che la compongono) di tutta la poetica buzzatiana, che la regia di Giulio Costa sceglie di tradurre sulla scena in forma antinarrativa. Ai personaggi stralunati, ai dialoghi angoscianti e surreali, alle situazioni sospese, il compito di mostrare allo spettatore quello che è, a tutti gli effetti, una sorta di spaccato del continuum immaginativo di Buzzati. L’Ultima Luna, con il suo pubblico variegato, ha fornito alla compagnia un prezioso ‘test’ per il seguito della tournèe appena agli inizi.  La conoscenza reciproca tra spettatori e nuove realtà, del resto, costituisce il valore aggiunto di un festival che sa correre rischi.

Maddalena Giovannelli – Camilla Lietti