Bergamo, 1-4 Marzo 2012
Festival, luogo di incontro, vetrina, occasione per riflettere sul lavoro fatto: tutto questo è “Luoghi comuni”, evento alla quarta edizione presentato a Bergamo dall’1 al 4 di Marzo (vale la pena curiosare nel programma). L’obiettivo è quello di far incontrare le realtà che lavorano all’interno di Etre, la rete di residenze teatrali di fondazione Cariplo che attiva connessioni tra i territori delle provincie lombarde. La vocazione al rapporto profondo tra il teatro e il luogo che lo ospita, cuore dei progetti di residenza, ha ispirato anche il festival: sotto l’auspicio dello slogan “Let’s keep in touch!”, la cornice raccolta di Bergamo alta si è trasformata in un microcosmo per la comunità teatrale itinerante. “Luoghi comuni” è pensato anche come una vetrina per operatori: non a caso, accanto ai fitti appuntamenti teatrali (25 spettacoli in 4 giorni), sono state organizzate tavole rotonde e incontri ad hoc per gli addetti ai lavori. Ma il confronto serrato è sempre occasione per riflessioni a più ampio spettro su convergenze tra i lavori, criticità comuni, punti di forza. Emerge chiara dalla programmazione la predilezione condivisa per le forme aperte e non necessariamente compiute, per le drammaturgie ibride che indagano diversi codici, per le ricerche che sviluppano suggestioni corali più che autoriali in senso stretto, dove è il perfomer a fare da catalizzatore.
Ne risultano (ed è una tendenza che si è delineata con chiarezza nelle ultime estati di festival) esperimenti estremamente avanzati dal punto di vista formale, innovativi nella concezione di drammaturgia, ma non sempre completi: la forma ‘studio’ affascina lo spettatore, ma corre il rischio di lasciarlo uscire da teatro allettato dall’aperitivo ma ancora in attesa del piatto forte.
La sensazione di una linea di tendenza condivisa si è manifestata forte, per contrasto, di fronte allo spettacolo del gruppo turco Galata Perform, unico ospite non UE della programmazione (accanto ad altre due compagnie internazionali: l’ungherese Sin Culture Center e lo Scottish Dance Theatre). Century’s Love, scritto e diretto da Yeşim Özsoy Gülan, racconta otto diverse storie d’amore, vissute ognuna in un’epoca e in un luogo differente della Turchia: da una stanza di Ankara il giorno prima di una celebrazione per Atatürk, ad un casa del quartiere greco di Istanbul del 1943, fino al capodanno di passaggio al nuovo millennio. Emerge un affresco storico e umano, in un testo che cerca di mettere in luce come il cambiamento dei linguaggi, delle attitudini e dello Zeitgeist scorrano paralleli intersecandosi e modificandosi. Lo spettacolo tocca interessanti momenti di scrittura e offre alcune istantanee di notevole intensità, in una struttura complessivamente ripetitiva e dai ritmi troppo omogenei. Se si tiene conto del denominatore comune del festival, colpisce però la sensazione di trovarsi di fronte ad un linguaggio narrativo profondamente diverso, dove la forma resta un mezzo per accedere a un contenuto. Lo stesso disorientamento – mutatis mutandis – aveva lasciato in parte del pubblico lo spettacolo dell’argentino Bartìs nell’ultima edizione della Biennale veneziana o Oriza Hirata con il suo Tokyo notes nell’ultimo Santarcangelo: lo stupore di chi ha perso l’abitudine a una drammaturgia lineare, a un racconto che non forzi necessariamente le forme, a una storia che vada goduta di per sé.
La possibilità di uno sguardo d’insieme su lavori vicini e lontani, su elementi forti e crepe, non è opportunità da poco: resta ora ai molti giovani autori, drammaturghi e coreografi sviluppare riflessioni. Perché l’invito alle sinergie, alle connessioni e all’incontro non resti solo uno slogan.
Maddalena Giovannelli