Angela Demattè ha la faccia pulita, la voce ferma, le mani aperte. In scena ci sono solo alcune sedie e un grande scatolone di cartone, dal quale l’attrice estrarrà una statuina della Madonna: una di quelle con l’abito bianco e il mantello azzurro che si trovano nelle edicole, ai margini delle strade di montagna. Racconta una storia strana che sembra una parabola, ambientata a Bruxelles o Strasburgo, tra le sedie del Parlamento Europeo, ma che affonda le sue radici nel Trentino più tradizionale. “Demodé, si può dire demodé?”
Mad in Europe, spettacolo vincitore del Premio Scenario 2015, di cui la trentina Angela Demattè è autrice e unica interprete, è una riflessione sul rapporto tra individuo e comunità in chiave femminile. Una donna sola, colta, professionista della comunicazione e in grado di parlare fluentemente cinque lingue (italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo) scopre di essere incinta e improvvisamente impazzisce, dimentica la propria madrelingua e con essa la memoria di sé. Smarrita nel mondo educato e formale degli uffici dell’Unione Europea, Mad “la matta” non riesce più a ricordare le sue origini. L’unica cosa che le rimane da fare è intraprendere un viaggio nel suo passato più profondo per cercare di ricostruire la propria identità.
Al centro della riflessione è la maternità, indagata da tre punti di vista differenti e complementari: quello corporeo, quello religioso e quello linguistico. Libertà sessuale, autodeterminazione, emancipazione, diritto alla carriera sono principi che hanno reso le donne libere di non avere figli ma anche, in alcuni casi, di rinunciarvi con dolore in nome dell’affermazione personale. La protagonista vive con disagio la gravidanza e il parto, divisa da una falsa opposizione tra il desiderio di realizzarsi come individuo e l’ancestrale istinto materno, tra l’ordine degli abiti da ufficio e l’animalità della natura.
La seconda maternità, quella religiosa, si connette direttamente alla prima. Angela Demattè porta in scena una parte dell’Italia del nord spesso ignorata o dimenticata, racchiusa tra le montagne del Trentino. E, con essa, una religiosità tanto pervasiva quanto silenziosa, non avvezza alle grandi manifestazioni pubbliche della fede mediterranea. La Madonnina, madre per antonomasia, si impone sulla scena con la sua immobile presenza. Antagonista e complice, è simbolo ed essenza di una mentalità conformista, personificazione di tutto quel passato dal quale Mad ha cercato di fuggire.
La terza maternità, quella più interessante e drammaturgicamente meglio sviluppata, è il rapporto con la propria lingua di origine, con la madre-lingua. In un vertiginoso monologo, restituito con grande generosità, la protagonista precipita dalla mescolanza disordinata delle lingue europee in un grammelot indistinto e bestiale, per affondare poi nel suo idioma delle origini. Angela Demattè si confronta con un dialetto trentino sporco, brutto, volgare, una “lingua di merda” che impasta la bocca, molto lontana dalla perfetta pulizia delle parlate comunitarie. Ma l’esperienza insegna che rinnegare la propria madrelingua ha delle conseguenza terribili: la perdita delle proprie radici condanna a un oblio che intacca non solo la capacità di espressione in quanto tale, ma anche l’intera individualità.
La speranza di una ricomposizione sembra essere, paradossalmente, in una proiezione fuori di sé: Mad ritrova il significato primigenio della lingua grazie alla comunicazione con il figlio neonato. In questa epifania finale è racchiuso forse il senso dell’interrogarsi sulla propria identità e su quella dell’Unione Europea: le parole assumono verità e consistenza quando si riempiono di un significato legato a una sincera necessità di dialogo con l’altro. E le proprie radici – di individuo o di popolo – sono linfa vitale necessaria per costruire, finalmente, un’identità plurale e proiettata verso il futuro.
Chiara Marsilli
Mad in Europe
di e con Angela Demattè
visto al Festival Pergine Spettacolo Aperto _ 5 luglio 2016