di Alda Merini
con Arianna Scommegna
regia di Paolo Bignamini
visto al Teatro Ringhiera il 20 dicembre 2016

Magnificat” è la prima parola che Maria rivolge alla cugina Elisabetta, incinta, andando a trovarla dopo l’Annunciazione (Vangelo di Luca, 1, 39-55): entrambe sono accomunate da una gravidanza miracolosa e appunto la maternità è il tema centrale di questo episodio. Elisabetta avverte dentro di sé il suo bambino, Giovanni, sussultare alla presenza di Maria, e la saluta come futura madre di Gesù. Maria a sua volta risponde così: “L’anima mia magnifica il Signore…”. Queste parole sono diventate una preghiera che a sua volta ha ispirato musicisti e poeti di ogni tempo: oltre a celeberrimi Magnificat di autori classici come Bach o Vivaldi, tra i più recenti basti citare Erri de Luca (Nel nome della madre, 2006) e la poetessa milanese Alda Merini. Quest’ultima nel Magnificat (2002) offre una visione della maternità del tutto personale, anticonformista, mistica e laica al tempo stesso. Una parola incisiva, potente, tuttavia non facile da mettere in scena, come del resto accade nella maggior parte dei casi in cui opere di poesia vengono proposte sul palcoscenico. Proprio per questo è da premiare il coraggio dell’Atir Ringhiera, che ha dedicato alla poesia una serie serrata di appuntamenti: al primo spettacolo di Gianluigi Gherzi e Giuseppe Semeraro, andato in scena pochi giorni prima di Magnificat intitolato provocatoriamente A cosa serve la poesia. Canti per la vita quotidianaha fatto seguito il Ringhiera Poetry Slam: un ‘campionato’ di poesia che ha visto sfidarsi molti giovani talenti, oltre alla stessa Arianna Scommegna che ha recitato, in anteprima, alcuni brani di MagnificatDopo questo assaggio delle capacità interpretative dell’attrice, risulta ancor più stupefacente la coesione e la tenuta dell’intero monologo, in cui la Scommegna per oltre un’ora tiene gli spettatori magicamente col fiato sospeso, avvinti a sé, dalla prima all’ultima parola: si cala mirabilmente nelle vesti di una Maria adolescente, quasi bambina, poi ragazza-madre e infine Mater Dolorosa, che muore insieme col figlio sulla croce. La sua recitazione è sempre perfettamente equilibrata, mai monotona, capace di alternare toni sublimi e quotidiani, di mantenere intatta l’intensità dei versi, evitando qualsiasi affettazione o retorica. La regia di Paolo Bignamini è semplice, sobria, efficace, ed è felice la scelta di affiancare a Maria un’interlocutrice muta eppure straordinariamente espressiva: la musicista Giulia Bertasi che con la sua fisarmonica sostituisce degnamente Elisabetta e la voce ‘interna’ del bambino. Lo spettacolo è ben inserito nel cartellone pre-natalizio: ma ci auguriamo di vederlo ripreso nel nuovo anno, nella prossima stagione, e che faccia il tutto esaurito come merita.

Martina Treu