Il mosaico nasce dall’arte di saper unire frammenti tra loro diversi, per forma, colore e dimensione, e dalla tensione alla continuità affinché le trame raccolte in una minuta e ostinata molteplicità non si disperdano e trovino sempre nuovi modi e nuove vie di incontro. Queste parole potrebbero essere il naturale e costante sottotesto dello spettacolo Mantiq At-Tayr. Il Verbo degli Uccelli, la prima tappa del pluriennale, ambizioso progetto del Grande Teatro di Lido Adriano, andata in scena dal 28 maggio al 2 giugno come ouverture di Ravenna Festival, sotto la direzione artistica di Luigi Dadina e Lanfranco Moder Vicari. Non solo perché lo spettacolo nasce tra le pareti del Cisim, quello che un tempo era centro internazionale studi e insegnamenti mosaico, oggi centro culturale e fucina creativa dedicata alla musica, alle arti visive, allo spettacolo. Ma perché una profonda policromia nutre e irradia la creazione: dal testo, tratto dal poema sapienziale sufi Mantiq At-Tayr. Il Verbo degli Uccelli di Farid Ad Din Attar, autore persiano del XII secolo; dalle musiche originali di Francesco Giampaoli; dai brani cantati dal vivo in scena, sotto la direzione di Lanfranco Moder Vicari; e dalle diverse lingue pronunciate dagli attori e dalle attrici che tra italiano, persiano e iraniano raccontano il volo degli uccelli come metafora di un viaggio per la vita.

Mentre in scena un gruppo di attrici danza seguendo i passi di una ballerina che funge da loro guida, sembra impossibile non ritrovare nei loro movimenti l’immagine evocata dalla celebre canzone Uccelli di Franco Battiato, in quella ricerca profonda che oscilla continuamente tra desiderio di libertà e timore del medesimo impulso vitale, come continuo fil rouge dell’intero spettacolo. Siamo qui nel mondo del poema sapienziale: un gruppo di uccelli guidato dall’Upupa decide di mettersi in volo, per ogni battito d’ali un movimento sinuoso, seguendo la danza iraniana della loro guida. Così, dopo aver vinto il timore del volo, tra le incertezze, le paure e la ricerca di cosa sia realmente l’amore, gli uccelli intraprendono il viaggio alla ricerca del loro re Simorgh, attraversando sette valli, quelle della Ricerca, dell’Amore, della Comprensione, dell’Indipendenza, dell’Unità, dello Stupore e della Povertà. Le valli rappresentano i sentimenti attraverso cui gli uccelli si confrontano nel corso del viaggio, interrotti da alcune pause nel mezzo del deserto, presi dallo sconforto di non riuscire a raggiungere la meta. È una vera peregrinazione nell’ignoto – ben evocata dal paesaggio sospeso a opera dell’artista Nicola Montalbini – al termine della quale i trenta viaggiatori scoprono che l’obiettivo del viaggio è il viaggio stesso, quale strumento di conoscenza.

foto: Nicola Baldazzi

«L’ignoto rapisce, lo stupore rapisce, il volto di Simorgh rapisce il mondo, il mondo svela il volto di Simorgh, noi siamo Simorgh, Simorgh siamo noi, guardiamo noi vediamo lui, questo era quello, quello era questo». Le note rap scandiscono il tempo dello spettacolo, che intervalla così parti recitate a parti musicali, in cui ora le voci soliste, ora la voce del coro, divengono potenti amplificatori del volo degli attori in scena, fino a quando il loro battito d’ali viene consegnato metaforicamente nelle mani degli spettatori attraverso alcuni piccoli specchi: il loro volto riflesso diviene porta di accesso a quella micro-comunità errante alla ricerca del suo senso, tra perdite, paure e vertiginose cadute. Gli spettatori sono, in altre parole, Simorgh stesso, in un epilogo che non può che perpetuarsi. Di fatto lo spettacolo non finisce, richiamando nella luce riflessa dagli specchi il rito da cui aveva tratto origine: un attore immerso nell’acqua dirige le onde del mare, così come fa un direttore d’orchestra, invitando gli spettatori a catturare ogni impercettibile movimento di quel fluire che siamo noi, comunità teatrale e comunità umana. Là dove le onde si infrangono inizia il viaggio, là dove l’immagine si riflette nasce l’essere viaggiatore.

Mantiq At-Tayr. Il Verbo degli Uccelli rappresenta l’anima profonda della cultura sufi che si intreccia con l’anima multietnica del Grande Teatro di Lido Adriano, origine e meta di uno spettacolo abilmente interpretato, sotto la direzione artistica di Luigi Dadina che nel tempo ha saputo lavorare sempre a stretto contatto con la sua policromia. Un lavoro stratificato, che oltre a rappresentare il cerchio di una comunità in volo, ben figura il cerchio di una comunità teatrale che stringendosi in tanti piccoli cori diffusi nell’arco dell’intero spettacolo, reinventa il proprio essere hic et nunc in qualità di comunità errante, alla ricerca di quel significato profondo che, così come tende verso l’ignoto, così tende in moto perpetuo e continuo verso l’infinito. Mantiq At-Tayr. Il Verbo degli Uccelli è al contempo uno spettacolo emblema di teatro partecipato, i cui partecipanti, dopo aver preso parte per alcuni mesi a un percorso laboratoriale, divengono attori per restituire alla comunità e agli spettatori i frammenti di quella stessa traiettoria. Partecipanti-attori in scena da un lato e spettatori-testimoni da un altro, entrambi parte di un viaggio giunto alla sua meta grazie al loro incontro.

foto: Nicola Baldazzi

«Il noi, il tu sono uniti» canta il coro degli attori in scena al termine dello spettacolo, quasi a richiamare il sottile equilibrio necessario agli uccelli per procedere insieme nel volo. Un organismo unico in grado di attraversare – secondo le osservazioni e gli studi di Craig Reynolds – quattro diversi principi – coesione, allineamento, separazione ed elusione degli ostacoli – che svela così la capacità insita nel sistema complesso dello stormo di auto-organizzarsi, tra desiderio di stare vicino all’altro e quello invece di avere il proprio spazio. Un invito ad accogliere quell’invisibile quanto impercettibile equilibrio tra le tante comunità di Mantiq At-Tayr. Il Verbo degli Uccelli, come monito a sentirsi parte e frammento di quel macro mosaico di anime e di vite che nutre il Cism. Il teatro si rivela ancora una volta strumento per osservare con sguardo critico ciò che definisce il significato profondo di communitas e lascia nelle mani degli spettatori e della loro comunità la possibilità di ri-attualizzarne il suo significato profondo.

Carmen Pedullà


in copertina: foto di Nicola Baldazzi

 

MANTIQ AT-TAYR. IL VERBO DEGLI UCCELLI
direzione artistica Luigi Dadina, Lanfranco Vicari
regia Luigi Dadina
drammaturgia Tahar Lamri
direzione organizzativa Federica Francesca Vicari
scena e supervisione costumi Alessandra Carini, Nicola Montalbini
ideazione costumi Sartoria Natascia Ferrini, Stefania Pelloni, Simona Tartaull
composizione musiche e arrangiamenti Francesco Giampaoli
cori Lanfranco Vicari
coordinamento musicale Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini
narrazione e cura degli spazi scenici Massimiliano Benini
coordinamento organizzativo Federica Savorelli
ideazione grafica Massimiliano Benini
ufficio stampa Michele Pascarella
responsabile tecnico Matteo Rossi
allestimento tecnico Matteo Rossi, in collaborazione con la squadra tecnica di Ravenna Teatro e Audio Elite
con Lorenzo Carpinelli, in scena un centinaio di persone tra attori e musicisti