«Siamo tutti un po’ acciaccati»avverte Camilla, tra le danzatrici presenti alla masterclass di Simona Bertozzi, «dopo la pausa estiva è sempre meglio ripartire dalle basi!». E infatti per cominciare la lezione Bertozzi sceglie esercizi a terra, “floor work” direbbe qualcuno, non la coreografa di Agon-Teens, che alle preferisce affrontare le regole della sua grammatica fisica senza troppe definizioni precostituite. A guidare i suoi esercizi il rapporto che il corpo instaura con lo spazio, le cui informazioni sono inviate ai muscoli e alle articolazioni.
Ecco allora che invita a percepire la propria anatomia e il contatto col suolo in una dimensione di abbandono e auto esplorazione: lo scopo è costruire il movimento nella “verticalità e nell’orizzontalità” per poi destrutturarlo. La lezione si concentra, infatti, sul concetto di transizione: il pavimento della sala si anima di corpi oscillanti che transitano da uno stato all’altro verso la coreografia finale. È la testa che guida la costruzione delle azioni danzate: e non si intende il pensiero né l’intenzione, ma il peso specifico della scatola cranica che, sconfitto dalla gravità, trasporta il corpo al suolo.

Simona Bertozzi durante la masterclass

«Si tratta di una negoziazione della propria volontà» spiega Bertozzi « dove il corpo non decide ma risuona di tutte le informazioni che lo circondano: la traiettoria manipola attivamente l’aria ma viene a sua volta modellata dalle traiettorie di altri corpi». “Imprimo traiettorie e ricevo traiettorie” diventa allora quasi una legge fisica secondo cui l’azione danzata, in quanto attraversamento nel suo “qui ed ora” è messa in discussione dai magnetismi degli altri e dello spazio.
La lezione così assume valore di aiuto concreto per la comprensione della propria architettura corporea e delle architetture coreografiche che ne scaturiranno. Si ri-impara tutto da capo e i ragazzi, pur provenendo da esperienze diverse e vari stili, sono sfidati ad allontanarsi per una mattina dal proprio mondo per ri-impossessarsi del legame, troppo spesso sottovalutato, tra il proprio corpo e lo spazio,. La coreografa vigila ogni passaggio: è attenta, puntualizza anche il particolare del più piccolo movimento, osserva, mostra e corregge passando in rassegna alunno per alunno, premiandoli talvolta con un «Ah là, giusto!». E come un genitore insegna ai figli a camminare, Simona, con il suo atteggiamento materno, guida i suoi danzatori a riscoprire le origini della loro arte.

Rebecca Grassi e Giulia Villa


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview