“Comunicazione” è la parola d’ordine della masterclass tenuta da Daniele Bianco, danzatore della compagnia Le supplici di Fabrizio Favale. Comunicare però, non significa necessariamente «a un altro essere umano», semmai con qualcosa che «è ovunque nello spazio». È con questa indicazione che Bianco inizia la lezione. I corpi dei danzatori sono quindi chiamati a un dialogo immaginario con un’entità astratta: un animale, un oggetto inanimato, una pianta. Tra “io e l’altro” si crea un linguaggio corporeo che tiene conto della tecnica, ma che non si deve limitare alla semplice imitazione. «Se voglio interagire con un fenicottero, non devo esserlo per intero» continua Bianco. La consegna è chiara: cercare e creare innanzitutto un’atmosfera, una dimensione che lo spettatore possa vivere ed esplorare, indipendentemente dal fatto che esso sia un professionista, un operatore del settore o una persona qualunque. I movimenti e i passi che gli allievi mettono in pratica sono allora intrisi sì di tecnicismi, ma passano in secondo piano mentre ciascuno cerca di cesellare e dare rilievo, secondo la propria sensibilità, a “un’ambiente interiore”. La connessione con “l’altro”, la sua rilevanza coreografica diventa ancora più evidente quando ciascun allievo si cimenta in un assolo tratto da Circeo (coreografia sempre ideata da Favale): il corpo diventa in questo esercizio lo “scrigno” di una ricerca relazionale dove soggetto e oggetto si fondono. Il linguaggio misterioso della danza si fa ponte: corpo e mente si sciolgono nell’ambiente circostante e, per qualche istante, la sensazione è quella di poter scorgere uno spazio altro, qualcosa che si può definire davvero come “abitato”.

Marianna Santonastaso

(In copertina, ph: Piero Tauro)


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview