“La Comunità Europea ha l’obbligo di promuovere, nell’insieme della comunità, un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell’ambiente, l’innalzamento del livello della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri.”

Questo è quanto recita uno dei punti del noto Trattato di Maastricht, ma ultimamente molti membri appartenenti alla comunità sembrano essersene scordati. Alla crisi economica che sta attanagliando il vecchio continente si aggiungono le instabilità geopolitiche di paesi confinanti che accentuano le debolezze di una comunità non ancora coesa e l’aspetto culturale è il primo messo a repentaglio, anche se forse sarebbe il primo sul quale intervenire per una corretta integrazione tra tradizioni differenti.

Il report The role of public arts and cultural institutions in promotion of cultural diversity and intercultural dialogue redatto da un gruppo di esperti negli ambiti culturale e artistico degli stati membri della Comunità Europea inizia ricordando che la Dichiarazione Universale sulle Diversità Culturali emanata dall’UNESCO nel 2001 riconosce le differenze culturali come eredità comune dell’uomo e la loro preservazione diventa un imperativo etico e concreto. Prosegue poi sottolineando che il dialogo interculturale, atto al rinforzo e alla coesione sociale attraverso la creazione di ponti tra le persone e le comunità, non può esistere senza il riconoscimento delle diversità culturali. Si fa dunque netta distinzione tra dialogo interculturale e multiculturalismo, perché questo può sussistere senza bisogno di dialogo, con il rischio però che aumentino l’isolamento e il conflitto. Il report individua alcuni modelli virtuosi nei quali viene messo in evidenza il dialogo. Anche l’Italia è presente con il Teatro del Suq e Festival delle Culture di Genova, festival nato nel 2006 e che oggi conta più di settantamila partecipanti.

Il 6 giugno si è svolta a Bruxelles, nella splendida cornice di Palazzo La Bellone, una giornata di scambio, un Rencontre Médiation Arts de la scene, promossa da La Chambre Patronale des employeurs permanents des arts de la scène – l’Agis del Belgio , un momento nel quale si ha avuto modo di ascoltare proposte di Buone Pratiche sulla questione della partecipazione multiculturale a un dibattito pubblico, condizione ostica e in Belgio particolarmente sentita. Il Belgio è sempre stato esempio di melting-pot: valloni e fiamminghi convivono con un’altissima percentuale di immigrati – basti pensare che più del 25% della popolazione è musulmana Gli avvenimenti di questi ultimi anni stanno però mettendo in discussione un sistema solo all’apparenza solido: gli attentatori delle stragi di Parigi, di “Charlie Hebdo” e del 13 novembre, provenivano dai quartieri di Molenbeek e Schaerbeek, e i dibattiti sul multiculturalismo si animano.

La mattinata inizia con i due padroni di casa Mylène Lauzone, direttrice de La Bellone, e Serge Rangoni, Presidente de La Chambre Patronale, che introducono l’argomento e delineando la giornata, Oliviero Ponte di Pino ha poi presentato casi storici di teatro non-bianco, e dopo una breve discussione, la platea si è suddivisa in tre gruppi per focalizzare meglio gli argomenti in campo: dispositivi di mediazione, gli artisti a scuola, l’inclusione culturale.
Significativo l’intervento di Ismaël Saidi. Regista e drammaturgo, nato e cresciuto in uno dei quartieri musulmani della città, dopo aver ascoltato un intervento di Marine Le Pen nel 2014, ha pensato di scrivere Djihad, testo teatrale sulle motivazioni che spingono giovani belgi a unirsi ai terroristi islamici. Djihad si ispira alla tradizione della commedia dell’arte italiana e parla di problemi razziali, identità e integrazione culturale con il sorriso sulle labbra. Ismaël precisa però che l’unico modo per ridere di un attentato è ridere di chi lo ha commesso e non delle vittime, e l’opera non vuole essere motivo di derisione, ma momento di riflessione e comprensione di un problema che ha ripercussioni comuni. E questa interpretazione dell’attuale, dopo le prime paure, ha colpito e convinto, soprattutto ragazzi e docenti. Il teatro diventa rappresentazione forte e cruda di uno spaccato di realtà, capace di far sorridere e al tempo stesso pensare: 153 repliche e più di 50 mila spettatori in poco più di un anno.

Gli spunti di riflessione sono stati molti. Eric Minh Cuong Castaing, giovane coreografo e promotore del progetto di ricerca School of Moon, porta avanti un discorso di interazione tra i bambini e i nuovi media, allargando il dibattito ad un futuro non troppo lontano. Come interagiscono i bambini e i robot nel riadattamento di una coreografia di Cunningham? L’androide è vissuto come l’evoluzione della rappresentazione del corpo e dei suoi gesti ancestrali, con il quale bisogna iniziare a prendere confidenza, e instaurare un dialogo, forse anche in questo caso, interculturale.

Come si può dunque essere capaci di pensare al futuro, di parlare di interazione culturale e di educazione alla multietnicità se si chiudono gli occhi e si rifiuta l’ascolto dell’altro?

Giulia Alonzo