Werner Herzog nel film-documentario The cave of forgotten dreams racconta le pitture rupestri della grotta Chauvet: quei disegni sono la prima forma d’arte di cui abbiamo memoria, e rappresentano il reale interpretandolo attraverso il filtro dello sguardo. Leonardo Delogu e Valerio Sirna forniscono fin da subito i riferimenti e il punto di vista con cui affrontare gli undici chilometri lungo cui si articola Metafisica Urbana. Dopo un ingresso con luce e musica, l’improvviso silenzio e il buio totale della Sala di Lenz Teatro sembrano un invito a svuotare lo sguardo, a pulirlo e riorientarlo secondo la sensibilità verso cui i due ci stanno accompagnando. Poi una porta sul fondo della sala si apre e inizia il cammino. Le suggestioni da cui partire costituiscono la vera e propria cornice teorica del loro lavoro di creazione: dal documentario di Herzog, ai versi del poeta Noel Arnaud, a L’alleanza dei corpi di Judith Butler, fino a Richard Long. O ancora, la cultura giapponese e il suo concetto di MU: parola che indica mancanza, il “nulla” in cui coesistono l’esserci e il non esserci, contemporaneamente negati. È un nulla totalmente intangibile e per questo così difficile da sentire: proprio come quella condizione in cui la membrana dentro-fuori si assottiglia, e ci sembra di percepire con molta più forza il reale.

foto: Francesco Pititto

MU sono anche le iniziali di Metafisica Urbana, il titolo dato a questa “speculazione filosofica in movimento intorno al concetto di scia”, presentata da DOM- (Leonardo Delogu, Valerio Sirna, Hélène Gautier) all’ultima edizione del festival Natura Dèi Teatri, tutta orientata al concetto di scia. Così, siamo invitati a immaginare il percorso che il nostro camminare lascerà sul territorio – nella zona nord di Parma – proprio come la traccia disegnata al suolo in A line made by walking di Richard Long.
L’esercizio dello sguardo per DOM- non consiste nell’osservare un panorama, ma nell’immergersi, nel sentirsi parte di una realtà esperibile attraverso tutti i sensi.
In questo lavoro la camminata come processo esperienziale si alterna a movimenti performativi e ad altre “pratiche”. Il percorso si punteggia così di tappe, tra attraversamenti e soste. “Io sono lo spazio in cui sono”: per oltre quattro ore, queste parole di Arnaud risuonano nel “qui e ora” proprio dell’evento teatrale e in una forma di percezione che misura lo spazio attraverso il movimento e lo sguardo.

foto: Francesco Pititto

Ci troviamo quindi ad attraversare un “giardino in movimento” segnato dai solchi lasciati dalle moto da cross, un fazzoletto di paesaggio in cui una natura dirompente entra in contrasto con il cavalcavia della superstrada a pochi metri di distanza, mentre ascoltiamo la voce del “giardiniere” Gilles Clement diffusa da una cassa. O ancora, ci troviamo a riconoscere gli elementi dello spazio teatrale – con proscenio, quinte e arco scenico – nella simmetria prospettica creata dai piloni che sorreggono la superstrada, con il rumore delle macchine che sfrecciano sopra alla nostra testa. È una sorta di “preistoria del teatro”, spiegano Sirna e Delogu, mentre Hélène Gautier, avanzando verso di noi nella simmetria di due filari di alberi e nelle luci filtrate dalle foglie, mostra la potenza performativa di un corpo nello spazio. Quello che accade in questo percorso guidato da DOM- è che, superando quella frontalità prospettica dominante della nostra cultura, avanziamo in un’immersione tridimensionale, in un’attivazione dei sensi e del paesaggio. Esperiamo quel varco spazio-temporale tra naturale e artificiale, tra interno ed esterno, tra pubblico e privato, tra performance e realtà. Guidati da quel desiderio di guardare che caratterizza il nostro essere spettatori, applichiamo il nostro sguardo al paesaggio mettendolo in relazione con il movimento, con la presenza o con l’assenza di figure che catalizzano la visione e con dispositivi anche minimi che concorrono a orientare la nostra percezione (come la musica, diffusa dalle casse-zaino sulle spalle delle guide-performer).

È generoso questo lavoro di DOM- perché accoglie e accompagna dentro alla ricerca che il gruppo porta avanti da anni, rinunciando qui, almeno in parte, al mistero e al dispiegamento di segni e dettagli presenti in altri loro lavori propriamente performativi. Ed è una proposta aperta al dialogo, che trova una possibile via per un gruppo i cui lavori necessitano di lunghe residenze e che, di conseguenza, sono più difficilmente esportabili nelle programmazioni di festival e teatri (il format de L’uomo che cammina – che avevamo visto lo scorso anno al festival di Santarcangelo – richiede oltre un mese di indagine sul territorio). Qui a Parma Delogu, Sirna e Gautier sono stati una settimana, individuando quei luoghi di terzo paesaggio e quei segni stratificati in una scoperta dell’ambiente naturale che penetra nella città. E così capita di incontrare conigli, cerbiatti, donne alla finestra che paiono essere comparse di una drammaturgia delle piccole cose. Piccole cose che compaiono da sé e, in questo caso, al di là di ogni possibile pianificazione, appoggiandosi all’universo poetico del quotidiano divenuto visibile al nostro sguardo.

Francesca Serrazanetti

 

MU – metafisica urbana
speculazione filosofica in movimento intorno al concetto di scia
di DOM- Leonardo Delogu e Valerio Sirna
con la partecipazione di Hélène Gautier

Visto nell’ambito della XXII edizione di Natura Dèi Teatri