Quando e dove vi è capitato di perdervi? Quand’è l’ultima volta che l’arte vi ha condotto in un dedalo di visioni collettive, in quello spazio-tempo sospeso, labirintico, che unisce la realtà immaginaria a quella concretissima del luogo dove prende forma?

Il teatro rappresenta proprio questo spazio-tempo: è mimesi della realtà attuata tramite la narrazione; è processo di conoscenza che avviene grazie all’esperienza concreta di corpo e mente; è il luogo principe “in cui avere le visioni”. Ma non solo. Il teatro è anche territorio di sperimentazione d’arte dedicato a una polis a cui sempre deve riferirsi, sia essa concreta, frammentata o virtuale. Spesso, come individui, dimentichiamo la nostra appartenenza a quella polis; spesso il teatro sembra voler essere solo monumento, architettura, rocca serrata. Come singoli dovremmo ricordarci di essere invece cittadini, di far parte di un territorio che ci plasma e accomuna; come arte, il teatro dovrebbe ricordarsi di essere – oltre quello spazio-tempo sospeso – piazza aperta sulla città, luogo per l’incontro in grado di rivoluzionare  le regole e lo sguardo comuni.

Ed è proprio il confronto tra sguardi, tra comunità e configurazione cittadina, il cuore della quinta edizione di Metamorfosi Festival che, attraverso un’arte multiforme e l’idea di Recovery – non solo umana, ma anche urbana –, pervade luoghi e territori innescando così un cambiamento. Perché è muovendosi che si inizia una ricerca, anche se, spesso e volentieri, in questo vagare ci si perde. I labirinti sono polutropos, hanno varie forme, ma sono sempre un luogo in cui è facile entrare, da cui è molto difficile uscire, e in cui è ancora più difficile stare. Ma è solo in quel teatro capace di immergere ogni spettatore nel suo “cerchio magico”, attivando al contempo una riflessione, che si può ancora vivere la catarsi, uscire dal labirinto e ripensare la forma di un’ordine che ci era sembrato immutabile. Per farlo è però necessaria un’Arianna, un filo che ci colleghi come Comunità.

Ed è ciò che avviene con Il Minotauro della Compagnia Animali Celesti (in collaborazione con Teatro19), e con D.Io o dell’inferno quotidiano della Compagnia Laboratorio Metamorfosi/Teatro19. Il primo ha aperto Metamorfosi Festival sabato 23 marzo conducendo il pubblico tra le vie del centro storico di Brescia in un viaggio labirintico; il secondo ha portato invece gli spettatori a San Polo, quartiere intricato di edilizia economico-popolare, zona di confine della città, tagliata dalle tangenziali, ma recentemente collegata al centro dalla nuova linea metropolitana.

Filo rosso che accompagna il pubblico in questi due spettacoli dove “tutto è pieno di dei” – per citare Talete – è proprio il labirinto. “Inextricabilis error” lo definiva il gesuita Jacobo Boschio nella sua Symbolographia del 1700 svelandone un significato duplice: l’uomo vaga, vagando si allontana dalla meta prefissa e così si inganna. Le spire di un labirinto conducono verso l’agognato centro, ma sono piene di imbrogli, non solo quelli concretamente architettonici (strade tortuose, vicoli intricati, palazzi),  ma anche quelli archetipici, il dedalo della mente umana.

È così che in scena gli utenti dei CPS territoriali – che fanno parte della Compagnia Laboratorio Metamorfosi – insieme agli attori professionisti danno corpo e voce a un percorso di consapevolezza dedicato a un pubblico eterogeneo, conscio e inconscio, seguendo la predisposizione alla permeabilità del festival che chiama a sé spettacoli in stretto dialogo con il territorio e con luoghi aperti a sguardi altri. Percorsi più o meno ingannevoli portano attori e spettatori a vagare in labirinti costruiti dall’uomo e, oltre, in quelli creati dalla psiche, l’enigma per eccellenza.

Sono allora sussurri inquietanti di donne-satiro ad accompagnare i primi cento partecipanti nei tenebrosi giardini del Museo Santa Giulia, dove inizia il racconto de Il Minotauro. Sono i versi del I Canto dell’Inferno di Dante cantati da Francesca Mainetti e gli indici puntati di angeli dalle ali posticce a dare il via alla ricerca errante di D.Io o dell’inferno quotidiano. Il mito di Cnosso si interseca con il viaggio dantesco, noi spettatori con chi dello spettacolo è inconsapevole, gli attori con le persone che in quei luoghi vivono, il mito con la quotidianità.

All’ingresso della Torre Cimabue di San Polo una siòra impellicciata dalle scarpe rosse fiammanti, piena di buste della spesa (Valeria Battaini), si presenta, in veneto, come la moglie di Dio e lascia i venti spettatori nelle mani del portinaio pugliese, Virgilio (Nicola Stella)  mentre va a preparare il pranzo al marito. Ci verrà a recuperare quando sarà il momento di incontrarLo.
All’uscita dei giardini del Museo Santa Giulia folli personaggi spingono gli spettatori a pescare una colpa e un peccato mentre un umanissimo Dioniso (Alessandro Garzella) conduce la parata pagana al Tempio Capitolino insieme a oltre settanta ragazzi della Banda Giovanile “I. Capitanio”, da baccanti possedute, dagli attori di FuoriBinario/CPS Rovato, e da un pubblico di minuto in minuto sempre più numeroso. Chi guarda, da fuori, è curioso: vuole capire che cosa sta accadendo. Nell’androne della Torre Cimabue è un signore di 94 anni con un «quanta bella gioventù!» a innescare la relazione umana; per le strade del centro storico è la musica, con l’aiuto degli utenti dei CPS vestiti a festa, a far entrare nell’evento come ipnotizzati cittadini in centro per la birra del sabato sera.

Il cerchio si chiude intorno al Minotauro sgozzato mentre suona il violino tra le rovine del Capitolium romano e a quel Dio (Daniele Gatti) che gioca ossessivamente a Tetris protetto da un semicerchio di vetro. Come a dire che bellezza e bruttezza sono in ognuno di noi, labirinti in cammino nel dedalo del nostro minuscolo spazio-tempo esistenziale. La ciclicità del mito è prepotente, come lo sono i divini cerchi che ovunque appaiono nella Torre Cimabue: la perfezione è anche in una parabola per i canali tv. Dio è in tutte le cose, il Minotauro anche. Il verde brillante della torre di calcestruzzo “dimostra in maniera lampante l’esistenza di dio”. Ma allora Teseo ha davvero ucciso un mostro? Il mostro è monstrum, prodigio, fenomeno portentoso. Dio è l’essere supremo, creatore e ordinatore dell’Universo. Dio ha creato il labirinto e il Minotauro. È il labirinto e il Minotauro. Come ognuno di noi. Uccidendo il Minotauro abbiamo ucciso Dio. E allora “non dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire almeno degni” di un’azione tanto grande?

Camilla Fava


D.IO o D.ell’ inferno quotidiano
con Valeria Battaini, Daniele Gatti, Giovanni Lunardini, Roberto Lunardini, Francesca Mainetti, Roberta Moneta, Nic, Nicola Stella, Isabella Zipponi
regia Francesca Mainetti
drammaturgia Francesca Mainetti, Giorgio Caldonazzo, Roberta Moneta
musica dal vivo Angela Scalvini
in collaborazione con UOP23 Spedali Civili Brescia

Il Minotauro
Scritto da Alessandro Garzella
Regia Francesca Mainetti e Alessandro Garzella
con Valeria Battaini, Ana Belkis Granados, Elena Benevento, Giulia Benetti, Sara Capanna, Alessandro Garzella, Giulia Paoli, Chiara Pistoia, Alessandro Quarta, Anna Teotti, Aurora Vannucci, Mattia Donati (chitarra classica ed elettrica), Pietro Borsò (percussioni), Joaquín Nahuel Cornejo (sax, clarinetto)
Collaborazione artistica ambientazione e costumi Anna Teotti
e con la partecipazione di Ensemble Giovanile NINA, gli allievi dei laboratori doi Teatro19, gli attori di Fuori Binario, la Banda Giovanile “I. Capitanio”, Ombromanto di Manuela Crovato, Associazione Cenni Storici, Aikido Ukiyo Brescia, opere di Mitsuyasu Hatakeda, Giulia Rossitto, Atelier Asilo Notturno Pampuri.

Visti nell’ambito di Metamorfosi Festival a Brescia_23 marzo – 4 aprile 2019.