di Enda Walsh
regia di Luca Ricci
visto a Campo Teatrale di Milano_ 22-24 Marzo 2013
Misterman di Enda Walsh, diretto da Luca Ricci e presentato a Campo Teatrale, non è l’unico esempio di drammaturgia irlandese nel cartellone milanese di quest’anno: in Febbraio era stato presentato con successo al Teatro Menotti Occidente Solitario di Martin McDonagh, britannico di nascita ma irlandese di tradizione familiare e di elezione.
I due allestimenti – che ben poco hanno in comune, a parte la contingenza di portare sul palco noti interpreti del piccolo e grande schermo – condividono però le atmosfere cupe e senza speranza, ingrediente base della drammaturgia ‘irish’. Piccoli inferni quotidiani, tragedie che paiono sempre in bilico tra la cronaca e il simbolismo biblico, soffocanti interni domestici in costante relazione con una comunità opprimente che incombe dall’esterno: di questo parlano, pur in modo molto diverso, Walsh e McDonagh.
Il protagonista di Misterman è Thomas Magill (interpretato da Alessandro Roja), fervente cattolico un po’ santo e un po’ drop out della sua piccola comunità. Enda Walsh presenta un monologo di cui allo stesso tempo forza la struttura: alla voce di Magill si alternano quelle di diversi interlocutori della cittadina di Inishfree – sempre affidate alla parola metamorfica dell’io narrante – mentre un registratore riporta gli interventi dei vicini, di una ragazza, e soprattutto della madre (in questo caso la ben riconoscibile voce di Daria Deflorian, di innaturale e raggelante pacatezza).
Ed ecco che il contrasto tra l’affollamento di personaggi senza corpo e la solitudine di Magill diviene elemento disturbante, segno inequivocabile di una qualche instabilità, profezia certa di un finale tragico: lo spettatore si trova d’improvviso proiettato all’interno di una mente ondivaga, sommerso da voci fluttuanti tra immaginazione e realtà.
Luca Ricci fa emergere le risonanze del testo (affidandone la traduzione a Lucia Franchi, drammaturga della compagnia) e ne lascia affiorare tutta l’inquietudine: colloca l’azione in un ambiente spoglio, buio, solo di rado squarciato da luci pittoriche, che paiono sottolineare l’aspetto fortemente simbolico – quasi biblico – della vicenda. Anche i pochi oggetti presenti si caricano di senso: i registratori che sembrano moltiplicarsi e ingrandirsi sotto gli occhi degli spettatori, un vestito appeso come l’evocazione di un’impiccagione, un tavolo che metonimicamente rappresenta la casa.
Ad Alessandro Roja (meglio noto come il Dandi della serie Romanzo Criminale, e il volto misterioso e accattivante di Paolo in Magnifica presenza di Ozpetek) resta il difficile compito di sorreggere la struttura dell’intero spettacolo, dei suoi ritmi, dei crescendo. È una prova che sostiene in modo generoso ma discontinuo e che a tratti sembra sovrastarlo. A ricordarci quanto, anche per attori di provata esperienza, un monologo teatrale di questo calibro sia sempre impresa non priva di rischi.
Maddalena Giovannelli