Donna e uomo, giovane e vecchio, ma, soprattutto, amore fraterno e ragione di Stato. Quella tra Antigone e Creonte è un’opposizione senza scampo, irriducibile: l’antitesi tra due sistemi di valori inconciliabili, entrambi legittimi ed entrambi destinati al fallimento. Ed è proprio l’ineluttabilità del tracollo, il collasso, il perno attorno a cui ruota la versione del dramma sofocleo firmata da Kostantinos Ntellas, spettacolo attesissimo nell’edizione 2019 di Mittelfest.

La presenza del regista ateniese si inserisce all’interno del focus che il festival ha scelto di dedicare alla Grecia, ospite d’onore di quest’anno con sei produzioni in cartellone. Ntellas, forte dell’esperienza maturata con Elettra, l’ultimo sangue, presentato al Festival di Epidauro nel 2015, torna a sfruttare la sua eclettica formazione (corsi di recitazione e studi di teologia, recupero della musica bizantina e lezioni di danze tradizionali) per l’allestimento di un altro capolavoro della tradizione ellenica.

E se le domande ormai celebri che la storia di Antigone porta con sé risuonano forti (si potrebbe mai privare il fratello del rituale della sepoltura? Il cadavere di chi ha combattuto contro la Patria merita di divenire orrido pasto per gli animali?), a rispondere nella visione di Ntellas sono solo i rintocchi delle campane e l’abbaiare dei cani, che scandiscono l’intera durata dello spettacolo. Sul palco Despoina Dorina Remediaki dà vita a un’Antigone energica e intensa: i capelli acconciati in una lunga treccia, la voce ferma e sostenuta, la postura rigida con la fronte alta e le mani spesso chiuse a pugno ne tratteggiano lo spirito irruente e combattivo, pronto a sfidare qualunque autorità. Lo stesso Ntellas invece si ritaglia la parte di Creonte, un re più debole di quanto non voglia apparire di fronte ai suoi sudditi: zoppica, si mette le mani nei capelli, respira profondamente per mantenere la calma e, dopo aver scoperto che il suo divieto è stato infranto dalla giovane nipote, tenta perfino un approccio accondiscendente, come un padre che si rivolga a una bambina capricciosa.

L’evoluzione dello scontro segue quasi alla lettera la drammaturgia sofoclea così che anche l’adattamento di Nikos A. Panagiotopoulos, complice la continuità linguistica connaturata al neogreco, riecheggia perfettamente i versi antichi. Nessun taglio o aggiunta significativa, nessuna attualizzazione esplicita: il momento storico e le recenti associazioni tra Antigone e la capitana della Sea Watch, Carola Rackete, (anche nelle paroledi Haris Pašović, direttore artistico del Mittelfest) sono sufficienti per permettere al classico di avvolgere la contemporaneità, tanto che il governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, ha disertato l’inaugurazione del festival in polemica con l’ospitalità concessa all’opera.

In realtà, Ntellas aveva già portato in scena Antigone al Piccolo Teatro di Epidauro nel 2018 – ben prima degli ultimi fatti di cronaca – e il suo lavoro, pur non puntando a una ricostruzione archeologica, si sottrae a una connotazione temporale precisa: gli abiti semplici, dai colori pastello, e le scarpe di pelle sfumano nel ricordo del Novecento; mentre le musiche originali, composte da Alexandros Ktistakis, mescolano elementi della tradizione greca per creare un’atmosfera rurale che proietta lo spettatore in un passato mitico.

Sfugge a qualunque storicizzazione anche l’essenzialità dell’allestimento, a cura dell’architetto Andreas Skourtis, che riorganizza la chiesa di San Francesco di Cividale, luogo della messa in scena, su due livelli. Un palco addossato all’abside crea una posizione sopraelevata destinata ad ospitare i numerosi cittadini del posto che hanno partecipato come comparse silenti, dirimpetto al pubblico. Più in basso, sullo stesso piano degli spettatori, terriccio ed erba disseminati qua e là sul pavimento delimitano il terreno d’azione calcato dagli attori, riproducendo la forma circolare dell’orchestra greca. Tutto attorno sono state sistemate le sedie per gli spettatori che abbracciano lo spazio scenico formando una sorta di ellissi. La disposizione, anche se non rende agevole la lettura dei sovratitoli per chi è seduto trasversalmente al palco, si carica di un forte valore simbolico che si intreccia con l’intervento registico forse più incisivo: la gestione del coro. Scenografia e attori, infatti, danno vita a due cerchi concentrici: all’interno si trova l’orchestra, dove gli interpreti entrano ed escono dai loro singoli personaggi per trasformarsi nel coro che attivamente recita, canta e danza; all’esterno l’anello degli spettatori si fonde idealmente con i concittadini che sul palco rappresentano tutta la comunità.

Creonte riceve così la condanna dalla comunità che ha cercato di proteggere e soccombe all’annientamento che il destino gli riserva: il suo regno è distrutto, la sua stirpe si è estinta.
Ma questo non ha salvato Antigone. Perché, come aveva ammonito Tiresia (Efthimis Chalkidis), “corre una linea sottile tra caparbietà e follia” ed entrambi i protagonisti, accecati dai propri ideali, non hanno rispettato i limiti della natura umana. Allora che cosa rimane dopo l’estrema rovina? Solo l’amara consolazione di una dimensione religiosa eterna e ineluttabile: il cadavere del giovane Emone giace tra le braccia senza vita della madre, componendo l’immagine della pietà michelangiolesca; una lenta e silenziosa processione trasporta un baldacchino della liturgia ortodossa e conduce attori e coro oltre il portale della chiesa. Una ritualità confortante o ingannevole?

Nadia Brigandì


Antigone
di Sofocle
adattamento Nikos A. Panagiotopoulos
regia Konstantinos Ntellas
con Efthimis Chalkidis, Eirini Konstantinou, Konstantinos Ntellas, Fani Panagiotidou, Despoina Dorina Remediaki, Dimosthenis Xylardistos
scenografia Andreas Skourtis
costumi Konstantina Mardiki
musica originale Alexandros Ktistakis
produzione Delta Pi

Ph: Country in focus – Grecia – Foto © 2019 Luca A. d’Agostino / Phocus Agency

Visto al Mittelfest di Cividale del Friuli_15 luglio 2019