Teatro Ringhiera, Milano _13- 15 Settembre 2013

Voci fuori dal coro
di Maddalena Giovannelli

Mixité, il festival creato dalla compagnia Dionisi e giunto alla sua terza edizione, è approdato al Teatro Ringhiera. Un inno alle diversità, all’inclusione, al sentirsi un po’ fuori dal coro, non del tutto aderenti ai modelli proposti e condivisi. A fare capolino nelle drammaturgie presentate sono crisi, piccole crepe, prese di coscienza della propria alterità.

Per una donna – scritto da Letizia Russo e messo in scena in un primo breve studio da Serena Sinigaglia – indaga l’intimità di una donna sposata, in preda al turbamento imprevisto per una donna mai conosciuta. Sandra Zoccolan vaga tra il microfono e il tavolo, scrivendo una lettera alla parte meno disciplinabile di se stessa: gli spettatori divengono testimoni non invitati di un piccolo tribunale interiore. Letizia Russo, una tra le più interessanti giovani autrici contemporanee, riesce a condurre l’auto-inquisizione in bilico tra ironia, sensualità, inquietudine; e la messa in scena (ancora poco più che una lettura scenica) riesce a metterne in luce tutte le sfumature. “No perché… NO!!” cerca invano di convincersi la protagonista, con il tono con cui si cercherebbe di impedire a un cane di prendere un osso. E mentre si ride guardando Dott. Jeckyll e Mister Hide dibattere, si pensa ai propri eterni conflitti interiori, spesso portati avanti in modo non meno grottesco.

E di crisi – individuale, ma anche sociale e politica –  parla anche A-men di Walter Leonardi (scritto in collaborazione con Carlo Giuseppe Gabardini): un attore comico scopre, passati i quarant’anni, che il proprio stile di vita non è più sostenibile e vaga cercando sollievo nelle religioni, nell’idolo della tecnologia, e persino nella sicurezza del proprio divano. Tra dialoghi con l’imam, invocazioni sacre a Steve Jobs e vecchi che si dilungano in luoghi comuni, Walter Leonardi tiene viva l’attenzione del pubblico con ottimi tempi comici (che solo a tratti paiono sconfinare nel puro cabaret). La messa in scena – ancora in una fase di studio – rivela qualche smagliatura, e pare ancora in cerca di una complessiva organicità; ma il tema è urgente e affrontato con sincerità. Sotto i riflettori emerge la stanchezza di un’intera generazione, che combatte tra insicurezze lavorative, punti di riferimento che scivolano e orizzonti poco rassicuranti. “Ho provato tutto, e non funziona niente”, confida il protagonista, stremato. Nella sala del Ringhiera – affollata di giovani, attori, addetti ai lavori – non pochi avranno pensato lo stesso.

Potevo essere io
di Corrado Rovida

Da una parte il passato, quello che ancora riverbera con una certa nitidezza nei nostri occhi, che è stato radice delle nostre vite ma che rievoca un “io” ormai altro, distante da ciò che siamo. Dall’altra l’immaginazione che ci coglie nel momento del bilancio: il ricordo diventa la terra sui cui ipotizzare trame, fantasticare sul “poteva andare diversamente se…”.
Questi sono i due poli, le alterità – tema centrale del festival Mixité in cui è inserito lo spettacolo – che alimentano Potevo essere io scritto da Renata Ciaravino e interpretato con generosa sensibilità da Arianna Scommegna. Perché, bisogna darne nota, se lo spettacolo funziona e la platea – gremita – del Teatro Ringhiera sembra gradire, molto del merito va all’attrice milanese che, dando una volta di più prova del suo talento, infonde, pur nella loro tipizzazione, credibilità ai personaggi a cui presta il volto.
Il testo della Ciaravino si affida a una giostra-revival di topoi anni Ottanta, ma l’autrice, qui anche regista, è forse più abile a solleticare la vena nostalgica dello spettatore (un esempio su tutti: il walkman che innesca lo spettacolo riproduce il tema musicale de Il tempo delle mele), che a rielaborare la materia del racconto accordandole maggior spessore. Se lo spettacolo mostra a tratti qualche debolezza, è apprezzabile la capacità di mantenere in una vicenda – probabilmente autobiografica e quindi partecipata – un’invidiabile levità: una dimensione interiore tragi-comica che suscita nello spettatore, se non una vera riflessione, un afflato di pensierosa malinconia.
Il filmato finale fatto di riprese ‘familiari’ in Super 8 con una voce off a fare da contrappunto ne diventa la sintesi esemplare: la trappola dell’empatia, quando ben approntata, è un espediente sempre efficace.