Se siete stanchi di brevi soli e di performance a corto raggio, Bermudas è la destinazione che fa per voi. MK firma una composizione ampia, corale, energica, che mostra come rigore e apertura possano felicemente convivere.
Nei crediti dello spettacolo, fresco di premio Ubu, campeggiano ben tredici nomi di danzatori; tra questi, Biagio Caravano, colonna portante della compagnia fin dagli esordi, insieme a eccellenze della scena nostrana come Marta Ciappina. In realtà sul palco non appaiono appaiono tutti: Bermudas è un organismo collettivo che prende vita, volta per volta, con cast variabili e con alterni incontri di corpi e di presenze.

Non è difficile riconoscere, già dal titolo, un nucleo di senso caro a Michele Di Stefano (per esempio in Impressions d’Afrique e in Il giro del mondo in 80 giorni): l’idea di un altrove non geografico che si genera come esito di dinamiche e posture corporee, un viaggio che è prima di tutto la capacità di “stare” in spazi di transizione, di attraversare le turbolenze inaspettate che si accendono nell’incontro con l’altro.
In Bermudas il patto con lo spettatore è limpido, e proprio in questa limpidezza risiede la complessità della sfida: nei primi istanti dello spettacolo, un danzatore si fa avanti, e ci svela le regole che detteranno il gioco performativo. Pochi gesti, apparentemente semplici e riproducibili. Largo, lungo, rovescio, lato. A partire da quattro lettere coreografiche i performer continueranno a generare parole, e con quelle frasi, fino a costruire un’intera e vitale sintassi. Bermudas si rivela dunque un vero e proprio manuale sui processi di composizione, con possibili istruzioni per l’articolazione complessa di elementi semplici nello spazio e nel tempo (nella stessa direzione si muove un altro bel progetto recente, Alphabet di Gruppo Nanou).

Ma niente di più lontano da una lezione accademica algida e autoreferenziale. Il movimento verso lo spettatore è duplice: da un lato viene fatto cadere il velo, con semplicità, su ciò che normalmente in danza resta precluso, esoterico, legato al possesso di un sapere per pochi. Dall’altro l’energia dei performer, complice il ribollente ambiente sonoro (Kaytlin Aurelia Smith, Juan Atkins/Moritz Von Oswald, Underworld), immerge il pubblico in quarantacinque minuti di gioiosa entropia. Ai lati della struttura gremita, montata nello Sferisterio di Santarcangelo, gruppi di spettatori senza biglietto sbirciano da ogni angolazione, si siedono per terra, guardano dall’alto, attratti dagli attraversamenti scenici dei performer. Quella tensione in apertura, che pare invitare lo spettatore a farsi permeare dalle dinamiche corporee dei danzatori, è stata raccolta in Bermudas Forever: una naturale evoluzione del sistema coreografico di Bermudas dove la ripetizione ampliata dello schema (tre ore) e la condivisione delle istruzioni per entrare nel gioco arriva a coinvolgere il pubblico come una corrente. In tempi in cui si propaga implacabile il mantra dell’inclusione, Michele Di Stefano (che firma ideazione e coreografia del progetto) ne smonta la retorica con garbo, limitandosi a disporre con competenza i reagenti e a produrre l’energia di attivazione. E si conferma così una delle voci autoriali più vive, lievi e intelligenti del nostro panorama coreografico.

Maddalena Giovannelli


Questo contributo è apparso, con qualche variazione, all’interno dell’articolo Santarcangelo Slow & Gentle su “Doppiozero”.