Dalla platea si sente canticchiare: accennando goffamente qualche passo di danza, ecco che procede tra le file di poltrone quello che, a prima vista, sembra un semplice disturbatore. Poi però imbocca gli scalini che portano sul palco: “Chiamatemi Ismaele”, dice al pubblico la sua voce femminile, vagamente contraffatta – quella di una Mariasofia Alleva travestita da giovane marinaio. È lui, il protagonista e narratore di una storia ben nota, quella del grande classico di Herman Melville, Moby Dick, riadattato per il teatro da Michele Losi. Nato dopo il progetto Itaca che ha portato il regista in Grecia, tra i rifugiati dei campi profughi, lo spettacolo di Losi segue fedelmente la trama del romanzo, ma, allo stesso tempo, cerca di andare oltre. Lo si intuisce fin da quando riecheggia sul palco, come una dichiarazione programmatica, l’aforisma nietzschiano “Quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te”, rivelando l’esigenza di un’universalità del racconto che è anche urgenza di toccare drammi lontani e attualissimi: gli stessi che, a ben vedere, appartengono a ogni esistenza umana e che spesso vengono confinati in un altrove indefinito.
È così che lo spettacolo si snoda tra ciò che avviene sulla scena e ciò che invece accade al di fuori, in uno spazio immaginario dove tutto è possibile. Le balene cacciate dalla Pequod sono là, distanti, invisibili in un punto all’orizzonte, verso cui si dirige il dito di Queequeg, mimando la parabola discendente dell’arpione. L’oscillazione della nave è intuibile solo attraverso i movimenti malcerti dei personaggi, che in sequenze a ralenti dondolano all’unisono sul pontile. Il video disturbato del capitano Achab – Joseph Scicluna, scomparso lo scorso anno – compare nell’etere virtuale di uno schermo bianco. Di Moby Dick, il gigantesco capodoglio, non ci è dato sapere, però è nella sua attesa che si consuma il viaggio di Ismaele. Sembra quasi che la leggendaria creatura marina trascini con sé, nello spazio supposto e drammatico in cui dimora, tutto l’equipaggio: l’affondamento della baleniera, la morte dei compagni, la disfatta di Achab, trovano vita solamente attraverso la narrazione dell’unico sopravvissuto. Non sono più azione, non sono più presente, diventano semplice racconto che assume la sfumatura acronica del mito, della leggenda. Solo così l’odissea può essere realmente senza tempo, si disancora dalla letteratura e diventa storia di tutti. Ieri era il viaggio di una baleniera ottocentesca, oggi quello senza fine di un migrante.
Allo sviluppo verticale della scenografia il compito di rovesciare quel senso di immobilità temporale dato dallo scorrere di giorni e notti sempre uguali, vissuti dai personaggi a bordo della baleniera. Ismaele, il polinesiano Queequeg, gli ufficiali Starbuck e Stubb, il marinaio Pip, si arrampicano a turno sulla cima degli ‘alberi’ della nave, in equilibrio precario, per affrontare in pace e solitudine i dolori privati. È qui che nel procedere universalizzante del racconto e del mito trova spazio anche l’identità del singolo: il suo passato, i suoi tormenti interiori, danno vita con naturalezza a momenti malinconici, cadenzati dal silenzio e dai cigolii della Pequod che scivola sull’oceano. A dimostrare che quelli che crediamo personaggi bidimensionali, coprotagonisti in una vicenda (o di un fatto di cronaca) dai contorni epici, tali non sono. Le loro esistenze non si consumano mai totalmente nella tragedia: ecco che l’oscurità di un destino di morte si dissipa quando la ciurma si abbandona all’ironia e allo scherzo da camerata o quando il ritmo frenetico di un boogie scandisce la celebrazione della morte di un cetaceo in momenti di canto e di danza, che richiamano l’euforia illogica dei musical. Sono però solo attimi fugaci, una cornice di vita destinata a rendere più cupo un dramma che non si dimentica, e che, come l’immensa e inafferrabile balena, rimane costantemente in agguato tra le onde del mare.
Sara Monfrini
Moby Dick
ispirato al testo di Herman Melville
regia Michele Losi
drammaturgia Riccardo Calabrò, Mariasofia Alleva, Michele Losi
Visto al Teatro Menotti di Milano_dal 14 al 19 novembre.