«Gentili spettatori, sta per iniziare Monjour; per la sicurezza di tutti, vi preghiamo di indossare la mascherina e di mantenere per tutta la durata dello spettacolo la distanza interpersonale di almeno un metro…»: a palco ancora vuoto, la voce di Silvia Gribaudi, seduta in platea, segnala l’inizio dello spettacolo con la tipica avvertenza alla quale l’ultimo anno e mezzo ci ha ormai abituati. Ma il tono asettico e meramente informativo usato dalla coreografa viene d’un tratto infranto da un sospiro, a metà tra la noia e l’esasperazione, che delude qualsiasi aspettativa e fa scoppiare il pubblico in una spontanea risata.  

Sembra essere proprio questo il nucleo del lavoro di Gribaudi: lo spettatore è chiamato a rinunciare ai propri preconcetti, a sottrarsi alle convenzioni abituali, a dimenticare le tensioni e le difficoltà della vita quotidiana – «tamponi, tamponi everyday, but we’re here!» – così da potersi abbandonare all’atmosfera di leggerezza e di festa emanata dal palco. A essa, peraltro, contribuiscono in modo significativo i disegni di Francesca Ghermandi, proiettati in video sulla parete di fondo, che acquisiscono una parvenza di tridimensionalità e diventano una presenza fondamentale all’interno dello spazio scenico grazie alla costante interazione con i performer: come accade quando uno di essi, in punta di piedi e con le braccia sollevate, le agita delicatamente come fossero ali, mentre lo scorrere verso il basso delle immagini dietro di lui suggerisce l’impressione di un volo. 

Lo spettacolo prosegue così attraverso una serie di sketches danzati che Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino, Riccardo Guratti, Fabio Magnani e Timothée-Aïna Meiffren, simili ad artisti circensi, interpretano per divertire ed emozionare il pubblico. A fare da sfondo a ciascuna scena vi è la voce della coreografa che, inizialmente dalla prima fila e poi direttamente dal palco, commenta ironicamente i movimenti dei danzatori, arrivando a proporli agli spettatori stessi come lazzi da memorizzare per poi poterli in un secondo momento sfoggiare davanti agli amici. 

Dopo i mesi più duri dell’emergenza pandemica, fatti di silenzio e di tensione, Monjour torna a celebrare l’importanza delle relazioni, mettendo in scena non soltanto il rapporto tra i performer e la coreografa, ma soprattutto quello tra gli artisti e il pubblico. In una programmatica distruzione della quarta parete, lo spettatore è infatti sottratto dal ruolo di mero fruitore passivo, e si scopre invece responsabile dell’esito scenico, tanto nelle sue implicazioni più banali – come quando viene invitato a canticchiare un motivetto sul ritmo del quale possano danzare i performer – quanto nelle sue estreme conseguenze: «e ora è il vostro momento, potete decidere se sostenere il performer oppure ucciderlo» segnala la voce della coreografa, mentre il danzatore immobile sul palco attende la reazione del pubblico, che dopo un attimo di silenzio esplode in applausi e ovazioni. 

Con un’ironia travolgente, Gribaudi mette a nudo la relazione tra i due poli della creazione artistica, ricordando l’importanza ineludibile della dimensione fruitiva. Se è vero che non esiste arte senza pubblico, è altrettanto vero che, in virtù di questo, gli spettatori hanno una responsabilità fondamentale, di cui è bene che siano sempre consapevoli. Proprio tale monito, in effetti, sembra celarsi dietro alla dedica ripetuta quasi ossessivamente nel corso di tutto lo spettacolo, tanto dai performer quanto dalla coreografa: «It is for you!».

 
Andrea Bonzi

foto di copertina: Antonio Ficai

MONJOUR
coreografia Silvia Gribaudi
danzatori Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino, Riccardo Guratti, Fabio Magnani e Timothée-Aïna Meiffren
consulenza drammaturgica Matteo Maffesanti e Annette Van Zwoll
disegnatrice Francesca Ghermandi
materiale artistico creato da Silvia Gribaudi, Salvatore Cappello, Nicola Simone Cisternino, Riccardo Guratti, Fabio Magnani e Timothée-Aïna Meiffren
consulenza comica Rita Pelusio
disegno luci Leonardo Benetollo
direzione tecnica Leonardo Benetollo
creative producer Mauro Danesi
musiche Nicola Ratti
produzione Zebra
coproduzione Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, Les Halles de Schaerbeek (Bruxelles)


Questo contenuto fa parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview