Nei prossimi mesi le compagnie collaboreranno al “Mosaico”, la seconda fase del progetto HORS, per costruire insieme uno spettacolo che debutterà nel corso della prossima edizione del festival.

Con quale tessera pensate di poter contribuire al mosaico finale? O, in altre parole, quale credete che sia il vostro punto di forza, la caratteristica specifica che vi differenzia dalle altre compagnie?

La Lucina
Il punto fondamentale, che è anche il cuore della compagnia, è la ricerca sul corpo. In questo crediamo di essere molto forti – ma d’altra parte è meglio che siano gli altri a giudicare. Forse potremmo dire che questo è l’ambito di lavoro su cui ci concentriamo con particolare attenzione. Poi sicuramente c’è il fatto di essere un gruppo molto eterogeneo: ci occupiamo di danza, di teatro, di musica e di video. Questo ci rende malleabili.

Aronica/Barra
A. – In realtà non lo sappiamo, non sentiamo di dare un particolare contributo. Piuttosto, ci sentiamo forti sull’errore: siamo in fondo dei falliti! Per assurdo abbiamo creato la nostra compagnia nel segno del fallimento. Ma funziona, è la cosa che sentiamo nostra.
Daniele Turconi – Puó essere un orgoglio. Camus inneggiava alla bellezza del vivere la vita con l’attitudine del condannato a morte: in una prospettiva del genere, qualsiasi atto ha valore di rivolta. Dobbiamo morire? E allora facciamolo bene. L’attitudine di un condannato a morte è quella di uno che dice “non sono mai andato a New York, allora ci vado domani!” È il più attivo di tutti perché deve fare il maggior numero di cose nel minor tempo possibile.
A. – No, ma quello non era Camus, era Sfera Ebbasta! [ridono] Non a caso ci teniamo sempre a dire che veniamo da Cernusco, Sesto San Giovanni e Bollate: quel blocco della periferia ti fa essere costantemente in lotta contro qualcosa, ti costringe a dare fondo a tutte le tue energie per raggiungere ogni obiettivo.
B. – Quel che ci proponiamo è di essere aderenti alle nostre attitudini, qualsiasi siano. Essere onesti. In questo momento della mia vita artistica non potrei parlare di altro che del fallimento, perciò il mio punto di forza sta nell’onestà di dirlo, di non nascondermi o falsificarmi.

Diapason
Siamo una compagnia che fa di attori e drammaturgia il centro della sua azione, e crediamo sia questo il nostro punto di forza. Gli attori sono al tempo stesso “creatori del testo”, che non intendiamo mai come qualcosa di fisso, ma sempre in continuo movimento. Il nostro contributo crediamo possa essere sia drammaturgico sia attoriale, in linea con il nostro modo di operare. Sicuramente non un contributo di natura registica.

La ballata dei Lenna
Di volta in volta trasformiamo il nostro linguaggio a seconda degli incontri che facciamo. Lavoriamo molto partendo dall’osservazione di ciò che avviene all’esterno: prendiamo il reale, lo portiamo sul palcoscenico per restituirlo al pubblico. Siamo molto versatili e siamo ricettivi agli stimoli altrui, il che potrebbe rivelarsi il nostro punto di forza in un lavoro di collaborazione tra artisti che presentano linguaggi espressivi molto diversi tra di loro.

Quali tessere pensate che possano venire dalle altre compagnie? C’è qualche aspetto su cui vi sentite ancora acerbi e su cui sperate che siano gli altri a contribuire?

La Lucina
La regia. Siamo giovani, lavoriamo insieme da due anni ormai, ma nessuno di noi ha delle specifiche competenze in questo ambito. Facciamo delle regie collettive, dove ogni scelta deve essere ponderata da tutti e deve corrispondere a un substrato teorico che ci siamo dati inizialmente per lo spettacolo. Certo è che da questo punto di vista dobbiamo farci ancora le ossa!

Aronica/Barra
Credo che una compagnia come La Lucina abbia mostrato nello spettacolo Sonosarò la capacità di creare un un impianto scenico complesso ed equilibrato. L’utilizzo di linguaggi diversi è sicuramente un punto di forza della compagnia, anche per quanto riguarda l’uso di luci e musica.

Diapason
Sicuramente non sentiamo di essere forti sulla parte di “astrazione scenica”. Sul piano concreto invece abbiamo meno competenze nell’ambito delle luci e del design del suono, ma sono comunque aspetti curati da noi nei nostri spettacoli.

La ballata dei Lenna
All’opera d’arte sono sempre connaturate delle carenze, e la forza del “Mosaico” consiste proprio nell’opportunità di poterne colmare alcune, attraverso l’incontro con l’altro, che porta sempre qualcosa di nuovo: crediamo in un teatro che sia un gioco di sponda. Nel calcio talvolta la “sponda” è considerata illegale, ma l’arte è illegale per eccellenza e quindi ben venga. Ci piace in particolare l’idea della commistione con maestranze diverse, non necessariamente artistiche.

Qual è il nucleo originario del vostro lavoro? Da dove siete partiti?

La Lucina
Questo spettacolo nasce da un’intuizione teorica, da un tema, quello dell’impronta nella storia dell’arte, intesa come meccanismo artistico: dal segno lasciato dall’uomo preistorico fino ad arrivare all’arte contemporanea (con Penone, ad esempio, che lascia l’impronta sull’albero e l’albero cresce intorno a essa). In generale, ci interessava l’impronta come traccia, come segno dell’umano, che ci contraddistingue e che ci affratella come specie, al di là della storia, delle epoche e dei cambiamenti. Nel frattempo abbiamo iniziato a leggere Antonio Moresco e abbiamo notato che per molti versi anche lui indaga la capacità dell’umano di resistere al di là di ogni cambiamento e quindi abbiamo gli abbiamo chiesto di usare i suoi testi. Lui ha fatto un salto nel buio e ha accettato. Così è nata questa collaborazione. La drammaturgia nasce a partire da opere completamente diverse, di narrativa, di teatro, di saggistica che poi abbiamo messo insieme e strutturato in dieci scene, che chiamiamo “canti”,  cioè dieci variazioni su un unico tema. Per fare questo abbiamo deciso di portare al limite i personaggi che pronunciano questi canti. Dal punto di vista teorico, per parlare di qualcosa crediamo sia sempre meglio prendere le cose al loro superlativo di espressione. Così si lascia intravedere al pubblico sotto forma di sensazione quello che si vuole restituire. Dal punto di vista dei linguaggi scenici lo spettacolo nasce come spettacolo di danza, poi sono entrati i testi, i personaggi, la prima attrice. Le figure appaiono dal buio senza un collegamento logico e dal niente continuano a interrompere quello che sta succedendo per lasciare questa domanda fondamentale: a quale nuova specie stiamo dando vita? Un meccanismo onirico prende vita sulla scena: come nel sogno appaiono delle figure e poi scompaiono senza che sappiamo da dove vengano e dove andranno, così nello spettacolo abbiamo cercato di ricreare questa atmosfera. L’idea è quella di sopperire alla mancanza di linearità con un eccesso di sensazione.

Aronica/Barra
A. – Ci conosciamo da una vita, abbiamo studiato insieme teatro e vogliamo fare questo lavoro perché in questo momento non sappiamo fare altro. In più, nel fare teatro, vogliamo stare bene, dunque lo facciamo con le persone con cui ci troviamo bene. Il lavoro parla di questo. Tutto si è originato da una domanda: cosa succede in una coppia comica quando uno dei due muore? Ti viene a mancare un appoggio di cui hai bisogno perchè, man mano che passano gli anni, diventi insieme all’altro una persona sola. Nonostante la nostra compagnia sia solo all’inizio (è nata da un anno), sentiamo molto questa necessità della presenza dell’altro, e quindi è naturale farsi una domanda del genere.
B. – Partendo da questo presupposto, si può estendere il discorso su tutti i tipi di coppie. Tipicamente in una relazione sentimentale accade la stessa cosa. Uno dei due muore oppure ci si separa: non ci sono altri finali. Penso perciò che sia bello sperare che tutte le coppie arrivino al punto di farsi la stessa nostra domanda. 

Diapason
Partiamo dalla creazione di un testo: per scelta finora abbiamo portato in scena soltanto inediti. Gianpaolo cerca di trovare una trama che possa suscitare interesse e scrive un primo copione, che non viene imposto agli attori come un testo biblico, ma come materiale da smontare, lavorare e perfezionare. È sempre stato strano, perché Gianpaolo scrive un testo e poi, solo lavorando con altre persone, di cui lui chiaramente si fida, si scopre insieme di cosa parli davvero. Questo è sempre un po’ un miracolo. Ogni volta infatti piangiamo. E poi abbiamo un metodo di lavoro abbastanza uniforme, perché abbiamo tutti, almeno per il momento, la stessa formazione, che ci permette di darci il tempo adeguato per scoprire ciò che ci interessa. Per il tipo di lavoro che proponiamo, fino ad oggi abbiamo continuato a mettere qualcosa in discussione. Una continua crisi è una scelta precisa, ma bisogna avere il coraggio di sostenerla.

La ballata dei Lenna
Proponiamo a HORS il quarto lavoro della nostra compagnia: ad oggi abbiamo creato cinque spettacoli e stiamo lavorando al sesto. Il paradiso degli idioti parla dell’eredità dei padri, e lo spettacolo nasce dall’urgenza di capire in cosa consiste quest’eredità.

A cura della redazione di HORS in progress