“I’m still standing!” Un urlo improvviso interrompe i movimenti che i danzatori stanno eseguendo sparsi sul palco. Di colpo il protagonista da molti è diventato uno, il performer che mostra a piena voce il suo grande traguardo: essere riuscito a esprimere il suo vero se stesso. Un momento nobile ed emozionante se non fosse che, un momento dopo, il fiero enunciatore cade in modo goffo e stupido. Si tratta in realtà dell’innesco di un preciso meccanismo: in un secondo si forma una fila bizzarra, in cui i danzatori, tutti vistosamente diversi fingono di essere uguali, sfoggiando tutti lo stesso contegno. Sembrano pronti a fare un inchino e a chiudere la rappresentazione, ma quello che cercano è un gesto per continuarla e ribaltarla, e l’armonico tentativo di allineamento viene distrutto in un baleno: come se non ci fosse niente di più personale, intimo e caratterizzante, ognuno a suo modo percuote il proprio vicino, fra risate, sbuffi e sfuriate. Nessuno rimane in piedi: cadere, del resto, per Fattoria Vittadini è anche stare sospesi per un secondo nell’aria, sorretti dai propri compagni. Ed è proprio in questa immagine che l’espressione del “proprio vero se stesso” assume il significato di essere uno e tanti: non solo individui che sanno danzare, ma anche personalità che si svelano nel rapporto unico con gli altri. Un’auto-narrazione che non avviene mai in modo tragico, serio o altisonante, ma piuttosto con leggerezza e ironia. Nella vita, sembrano dirci i Vittadini, accade che chi crede di farcela da solo spesso si trova per terra, meglio allora dare voce a se stessi in un coro, piuttosto che in un monologo: è il confronto con l’altro a rendere il nostro io più vero.
Lidia Melegoni
MY.TRUE.SELF.revisited
coreografia Maya Weinberg
drammaturgia Shir Freibach
produzione Fattoria Vittadini
Visto a MilanOltre il 12 ottobre 2017
Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MilanOltreView