da Eschilo, Sofocle, Euripide
elaborazione drammaturgica e regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso
visto al Teatro Sociale di Brescia _ 4-16 dicembre 2012
Il coro, caratteristica distintiva del dramma antico, è notoriamente un aspetto cruciale per la riproposizione dei classici. Eppure sempre più raramente il pubblico oggi, specie in Italia, può ammirare in scena un gruppo di coreuti paragonabile a quello originario: troppo spesso le parti corali sono affidate ad attori singoli (e perlopiù inesperti), sacrificate o ridotte, semplificate o private del necessario complemento di musica, coreografia, canto. Il coro paga pegno non solo a mutate condizioni storiche e nuovi canoni estetici, ma prima ancora a cogenti motivi economici e logistici: non solo in tempi recenti, ma da molti – troppi – anni, per la carenza di fondi ormai cronica che affligge il nostro teatro, il costo pro-capite degli attori, anche alla paga minima sindacale, ne limita rigidamente il numero; e nei pochi giorni di prova che ci si possono permettere, a tappe forzate, è troppo dispendioso e perlopiù impraticabile addestrare (nella recitazione, nei movimenti ed auspicabilmente anche nel canto) un gruppo di attori che spesso non provengono dalla stessa scuola o compagnia e sono dunque eterogenei per stile, formazione, caratteristiche (per le poche eccezioni italiane, da Martinelli a Sinigaglia, si veda il mio articolo “Coro per voce sola. La coralità antica sulla scena italiana contemporanea”, Dioniso, N.S. 6, 2007, pp. 286-311).
Tutti questi motivi rendono già di per sé meritorio un esperimento che per molti altri aspetti si segnala tra spettacoli classici della stagione: Mythos, scritto e diretto da Elena Bucci e Marco Sgrosso e prodotto dal CTB – Teatro stabile di Brescia, in scena al Teatro Sociale fino al 23 dicembre. La scommessa azzardata, ma ampiamente ripagata, è di affrontare una materia mitica ben nota e forse anche un po’ inflazionata – la saga atridica – con diciassette giovani attori, tutti reclutati nel territorio bresciano, che non hanno mai collaborato prima, né tra loro né con la coppia Bucci/ Sgrosso. Un solo mese di prove sotto la guida dei due registi ha dato frutti a dir poco stupefacenti, se non miracolosi: gli attori si alternano nelle varie parti, ma tutti restano sempre presenti in scena a fare da coro, ad accompagnare con commenti, canti e controscena chi sta in primo piano: si creano così armonie e coreografie sempre nuove, sotto luci mirate ed efficaci nel sottolineare i diversi momenti dell’azione. Da ricordare tra tutti l’ottima Silvia Quarantini, una Clitemnestra altera e temibile, capace di tener testa ad Agamennone per difendere la figlia Ifigenia: molto efficace nel sottolineare i momenti clou con le nacchere in mano e con le braccia contorte in pose statuarie (che ci ricordano gli idoli cretesi della Dea dei serpenti, per certi versi sua diretta antenata).
Lodevole anche la drammaturgia nel non facile compito di saldare in modo fluido e convincente opere diverse fra cui l’Ifigenia in Aulide, l’Orestea, l’Elettra sofoclea e l’Oreste, riuscendo a superare inevitabili ‘buchi’ o sfasamenti (ad esempio l’Oreste euripideo viene incastonato tra il prologo e il processo delle Eumenidi), mescolando traduzioni diverse per una resa di volta in volta appropriata (l’inconfondibile Orestiade di Pasolini affiora qua e là con stilemi ben riconoscibili), ricorrendo per qualche frase al greco antico o al dialetto.
L’entusiasmo dei giovani è contagioso e dona al tutto una patina di freschezza, e regala perfino alcuni sprazzi di ironia: così la scolta dell’Agamennone, ad esempio, veglia per dieci anni in attesa del segnale della vittoria, ma quando questo appare lui è l’ultimo a vederlo! Oppure nel processo delle Eumenidi, quando Apollo assegna al maschio il merito della procreazione, le donne del coro lo subissano di fischi. Altra licenza apprezzabile è assegnare un ruolo di primo piano sin dall’inizio, ben prima del processo finale, ai “giovani dèi” delle Eumenidi: Apollo e Atena, sempre presenti in scena ai lati del coro, seguono la vicenda su un piano separato rispetto agli altrii, distinguendosi per movenze voci, luci e costumi. Anche per questi dettagli, oltre a quanto già detto sopra, Mythos è uno spettacolo degno di nota, e non solo un esperimento coraggioso che meriterebbe di continuare nel tempo e di non restare un caso isolato.
Martina Treu