Mythology / Purlieus / Dream
Visto presso l’Elfo Puccini di Milano _ 4-5 Ottobre 2014Nell’ambito del Festival MilanOltre.
Sono in dieci sul palco gli straordinari danzatori della National Dance Company Wales: tecnicamente ineccepibili, espressivi, ironici, vitali. Nella prima tranche di composizioni presentata a MilanOltre (altri tre titoli sono andati in scena nelle serate successive) li abbiamo visti alla prova con tre coreografi dalla mano differente – l’americano Stephen Shropshire, l’australiana Lee Johnston, l’inglese Christopher Bruce – in una cavalcata non semplice tra stili e linguaggi.
Alle prese con la partitura rapida e ritmata di Mythology (senz’altro la più fredda e la meno coinvolgente delle tre creazioni), i danzatori si muovono guidati da un ipnotico tappeto sonoro di musica e parole, a cura di Frederic Rzewsky. Presenze sceniche neutre e bianco vestite compongono e scompongono geometrie, formano gruppi dall’andamento sincronico per rompere un attimo dopo quell’unità trovata.
I movimenti si fanno più fluidi e sinuosi in Purlieus, un’opera per tre performer (un doppio cast vede alternarsi a seconda della serata un trio femminile e uno maschile), pensata dalla Johnston in stretta relazione con il disegno luci di Joe Fletcher: la coreografia si svolge in tre finestre di luce parallele che cambiano di continuo dimensione e posizione nella scena, in un destabilizzante mutare della conformazione spaziale. I danzatori escono dai contorni e vi rientrano, attraversano con parti del loro corpo i mutevoli fasci di luce; chi tra gli spettatori di MilanOltre ha avuto occasione di vedere i lavori di Aakash Odedra, avrà colto un (inconsapevole?) dialogo a distanza con alcuni passaggi Cut di Maliphant (leggi la recensione).
Seguendo un efficace climax ascendente, la serata si conclude con il vitale Dream, composto da Christopher Bruce in occasione delle Olimpiadi del 2012. Un gioioso e ironico gioco di evocazione degli sport e una strizzata d’occhio a certe atmosfere della vita pubblica del Regno Unito; gli uomini mostrano camicie, pantaloni e bretelle, mentre le donne danzano avvolte da colorati abiti dal sapore anni ’50. L’inizio è quasi teatrale, tra scaramucce, salti della cavallina e cucchiai di legno. Poi, mentre trionfano le note del Bolero di Ravel, il coreografo accompagna lo spettatore in una dimensione di movimento puro e liberatorio; i danzatori si spogliano progressivamente e ricompaiono sulla scena in graziosa biancheria vintage. Il gruppo mostra qui tutto il potenziale tecnico ma anche espressivo: l’energia è contagiosa, e il pubblico sembra faticare a restare fermo sulla sedia.
Maddalena Giovannelli