Nel 1998 Moisés Kaufman e la compagnia Tectonic Theater Project, con gli estratti di più di duecento interviste condotte personalmente a Laramie (Wyoming), scossero il pubblico statunitense obbligandolo a confrontarsi con la chiusura, i pregiudizi e l’odio omofobico che avevano portato all’omicidio dello studente ventunenne Matthew Shepard. Ben presto l’esperimento di Kaufman, The Laramie Project, diventò un simbolo della lotta contro l’omofobia e un preciso modello di verbatim theater. Nei teatri italiani è approdato solo nel 2020 grazie al Teatro dell’Elfo con il titolo Il seme della violenza.
Altrettanto rivolto a un’indagine sulle origini dei pregiudizi e sulla rabbia sociale che si nascondono dietro la violenza, ma profondamente distante dall’accezione di realtà e documentazione di Kaufman, Histoire de la violence, invece, è il titolo del racconto del 2016 di Édouard Louis da cui Thomas Ostermeier, lavorando a stretto contatto con l’autore, ha tratto History of Violence (Im Herzen der Gewalt è l’ originale in tedesco), presentato per la prima volta in Italia al 65° Festival dei Due Mondi di Spoleto.
History of Violence non è ascrivibile al teatro documentario, né al dramma didattico, né alla riscrittura teatrale di un’indagine giudiziaria à la Peter Weiss. Si tratta di una miscela esplosiva, in grado di combinare le molteplici realtà soggettive e al tempo stesso di rendere un caso di cronaca vissuto in prima persona l’occasione per un’indagine scientifica profonda sulle ragioni storiche e sociali che si nascondono dietro uno stupro in un contesto specifico.
Édouard Louis – Édouard Bellegueule all’anagrafe, come il protagonista dei suoi testi, tutti autobiografici – è già noto al teatro italiano come autore di Chi ha ucciso mio padre? (2018) magistralmente portato in scena da Deflorian/Tagliarini nel 2020: un’acuta e drammatica “lettera al padre”, scritta a cento anni dall’originale di Franz Kafka, dedicata alla violenza scaturita dall’incomunicabilità e all’inappellabile fallimento di una generazione, quella della classe operaia post ‘68, condannata a morte dalla propria obsolescenza sociale (si consiglia a questo proposito l’intervista a Louis sul movimento Jilets Jaunes).
Nello stesso anno della sua versione italiana, Who killed my father?, ora in scena alla St. Ann’s Warehouse di Brooklyn, è stato il secondo frutto della stretta collaborazione tra il direttore artistico della Schaubühne e il giovane sociologo francese, che in questo caso compare in prima persona sulla scena in un monologo di novanta minuti.
«Il lavoro di Louis mi interessa perché dà voce agli emarginati, a chi vive in povertà, a chi vive con disagio in quest’Europa che vuol essere il continente dei pochi felici. […] Louis parla di classi sociali. L’ultimo a farlo è stato probabilmente Bertolt Brecht. Sono queste questioni che mi interessa portare a teatro fin dai tempi di Shopping and Fucking» spiega Ostermeier ad Anna Bandettini, come si legge nel libretto di sala. A History of violence non mancano affatto né la crudezza, né la brutalità mista a disperazione del teatro in-yer-face, che riverbera nella famiglia di Édouard e in particolare nella madre e nella sorella, presenti sulla scena.
Louis è nato e cresciuto a Hallencourt, nella Francia settentrionale, bacino elettorale di Front National, in un contesto di provincia violento, omofobo, xenofobo, segnato dalla disoccupazione (che affligge anche il padre e la madre). Discriminato e vittima di soprusi in quanto omosessuale (di cui parla in Farla finita con Eddy Bellegueule), si è trasferito giovanissimo a Parigi sulle orme di Pierre Bourdieu e Claude Simon per studiare sociologia e lasciare il passato e la famiglia d’origine alle spalle.
Questa premessa è necessaria – e inserita nello spettacolo attraverso molteplici piani narrativi – come uno dei dati indispensabili per l’analisi di un caso di studio: il furto, seguito da violenza sessuale aggravata dalla minaccia con arma da fuoco, di cui l’autore è stato vittima il 24 dicembre del 2012 nel proprio appartamento parigino. Édouard e Reda (Rihad B. nella realtà, rilasciato nel 2022 in seguito a processo) si erano conosciuti la notte stessa, in strada, mentre Louis rientrava da una cena da amici con sottobraccio due libri, i cui autori vengono evocati come un mantra a cui appigliarsi nel corso della narrazione dell’orrore: Simon, Nietzsche, Simon, Nietzsche! Non si tratta di una scelta casuale: il primo è il modello attraverso il quale fare della violenza materiale letterario, il secondo indica allo spettatore la tensione tra apollineo e dionisiaco destinata a non risolversi. Presto la conversazione, in cui a tratti emerge una forte attrazione tra i due giovani, si sposta non senza un po’ di titubanza a casa di Édouard, trasformandosi in una notte di alcol, sesso e racconti del passato. Quella che aveva tutte le caratteristiche di un’avventura si interrompe bruscamente quando, tornato dalla doccia, Eddy si accorge che il suo cellulare e l’iPad sono scomparsi e chiede spiegazioni a Reda pregandolo di restituirglieli: «Non c’è problema, li avrei presi anche io, basta che adesso me li rendi e non ci pensiamo più». Un’esortazione in cui Reda, algerino cabili figlio di migranti, sente il riverbero dei pregiudizi xenofobi e delle prevaricazioni subite nella vita quotidiana. Ecco la scintilla che trasforma la discussione accesa in un raptus violento: Reda estrae la pistola minacciando ripetutamente di morte Édouard, lo violenta e fugge per le scale. La vittima, sconvolta, corre dalla sorella e le confida l’accaduto. Poi, dopo essersi sottoposto ai necessari accertamenti medici, si rivolge alle autorità. Tormentato dall’odore di Reda, che ha impregnato la sua pelle, terrorizzato dall’HIV e dalla possibilità che Reda torni a perseguitarlo in futuro (conosce il suo indirizzo), Édouard tuttavia non vuole che il proprio stupratore venga arrestato: vuole capire. Infatti, è convinto come vittima e come sociologo che solo capendo e indagando la storia della violenza potrà superare il proprio trauma. Questi sono i fatti.
La scena è aperta mentre gli spettatori entrano in sala. Sul palco un ragazzo biondo, elegante e ben pettinato, siede accasciato sullo sfondo, rivolto alla platea. Il suo sguardo catatonico attraversa senza vederlo il pubblico che entra e prende posto. In pochi minuti il palcoscenico diventa una scena del crimine dove, «esattamente come in una serie tv poliziesca» (Louis 2016: 124) gli agenti della scientifica repertano gli oggetti rinvenuti. Gli attori coinvolti sono quattro, tutti dell’ensemble della Schaubühne. Solo Édouard, sempre sulla scena, è destinato a non uscire mai dal proprio ruolo, mentre gli altri divengono di volta in volta agenti della squadra omicidi, medici, poliziotti. Le azioni sceniche iniziano a sovrapporsi con le immagini e i video in bianco e nero proiettati sullo sfondo, girati in diretta dagli attori, che distorcono la percezione dello spazio e degli eventi stessi. Seduto in un angolo del palcoscenico, il batterista Thomas Witte realizza dal vivo il tappeto sonoro del racconto. Con una formula che molto ricorda la colonna sonora di Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu, la batteria di Witte dialoga rincorrendo, incalzando e sovrapponendosi talvolta agli interpreti come (quasi) unico interlocutore, voce dell’odio cieco e a volte assordante, mai del tutto sopito.
Il racconto degli eventi della notte di Natale del 2012 è tutt’altro che lineare e viene proposto allo spettatore attraverso prospettive e piani temporali che cambiano continuamente, arrivando anche a sovrapporsi l’uno con l’altro. Oltre alla performance diretta dei fatti, al centro della quale c’è indubbiamente l’enactment dello stupro, si alternano monologhi di Eddy e della sorella Clara, che fornisce al marito la propria chiave di lettura di ciò che le ha raccontato il fratello. Intanto, lo schermo sullo sfondo proietta un ulteriore dialogo tra passato e presente, particolare e universale, composto da primi piani dal forte impatto emotivo, dettagli macroscopici e stranianti e foto segnaletiche, disegni animati in cui la Francia idealizzata dal padre di Reda si trasforma progressivamente in un castello kafkiano dotato di sbarre. Così il racconto procede, caotico e concitato attraverso accelerate e flashback, in strada, in ospedale, sulla scena del crimine, nella cucina di Clara, nel talamo degli amanti. Mentre Eddy e Clara parlano rivolti al pubblico, a Reda sono affidate le azioni al centro della scena. È evidente, e straziante al tempo stesso, che il pubblico lo osserva attraverso gli occhi di Édouard. Ad eccezione dello schermo che occupa l’intero sfondo, e della doccia che divide il palcoscenico in due piani spazio-temporali, la scenografia di Ostermeier è scarna e al tempo stesso dal grande impatto evocativo, rendendo ancora più tangibile la potenza della narrazione.
A emergere come principale causa della violenza è l’incomunicabilità. A dimostrarlo è innanzitutto il groviglio di trascorsi, emozioni, aspettative e pregiudizi che si nasconde dietro all’habitus dei protagonisti, entrambi vittime e agenti all’interno del proprio contesto sociale. Louis e Ostermeir, attraverso vicende private quanto esemplari, riescono a rendere tangibile il seme della violenza e con passaggi repentini dal particolare all’universale: dai soprusi perpetrati dalla Francia coloniale al disagio sociale dilagante che affligge l’Europa post-industriale; dal caso di cronaca con «tipo magrebino» che ben si presta alle generalizzazioni all’intimo dramma personale fatto di vergogna, umiliazione e inconfessabile senso di colpa che affligge ogni vittima di violenza sessuale, indipendentemente dal genere, dal contesto e dalla latitudine.
Benedetta Bronzini
foto di copertina: Arno Declair
HISTORY OF VIOLENCE
testo Thomas Ostermeier, Florian Borchmeyer e Édouard Louis
regia Thomas Ostermeier
collaboratore alla regia David Stöhr
scene e costumi Nina Wetzel
musica Nils Ostendorf
video Sébastien Dupouey
drammaturgia Florian Borchmeyer
luci Michael Wetzel
collaboratore alla coreografia Johanna Lemke
con Christoph Gawenda, Laurenz Laufenberg, Renato Schuch, Jenny König
musicista Thomas Witte
produzione Schaubühne Berlin
coprodotto da Théâtre de la Ville Paris, Théâtre National Wallonie-Bruxelles e St. Ann’s Warehouse Brooklyn
supportato da LOTTO-Stiftung Berlin
visto al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, 65° Festival dei Due Mondi di Spoleto, luglio 2022