Le parole, se unite alle immagini, hanno spesso la capacità di trasformarsi in un tessuto sottile in cui si ramificano significati, si estendono visioni, si affinano pensieri. Frammenti video, conversazioni, voci registrate in cuffia e voci recitanti nel vivo della scena, possono costituire parte di quell’ordito, diventando potenti amplificatori di senso, rimandando in una certa misura a letture e interpretazioni del tutto individuali, l’una diversa dall’altra. Questi, gli elementi alla base di Nessuna conversazione degna di rilievo, ultimo lavoro della compagnia catalana FFF_Roger Bernat, diretta da Bernat stesso: un’opera capace di creare un’originale commistione di linguaggi tra immagine e parola, dando vita a un universo complesso e stratificato di non facile decodifica.
Lo spettacolo trae spunto dai materiali documentari tratti dal primo processo per terrorismo, tenutosi in Spagna nel 2012, rivolto nei confronti di alcuni ex abitanti di Ceuta (l’enclave spagnola che affaccia su Gibilterra nel nord del Marocco) che decisero di abbandonare la città per unirsi allo Stato Islamico in Siria e, infine, immolarsi per una delle cause politico-religiose fra le più controverse della nostra contemporaneità. La dinamica spettacolare propone così le conversazioni – intercettate dalla polizia, divenute poi parte del dossier del processo – tra i familiari e gli uomini che decisero di partire, mediante la commistione di linguaggi fra immagine e parola e fra visione e ascolto. L’elemento imprescindibile per azionare il dispositivo scenico messo a punto da Roger Bernat, è il punto di vista che ogni spettatore decide di assumere durante lo spettacolo.
La scena propone alcune storie, veicolate da tre diversi canali, secondo prospettive distinte. A tre attrici in scena (Ernesta Argira, Alessandra Penna e Giulia Salvarani) spetta il compito di raccontarle in modi diversi: dare voce ai protagonisti delle conversazioni; leggere le registrazioni contenute nel dossier; recitare la voce ascoltata in cuffia. Il pubblico, posto di fronte, deve osservare quanto accade in scena, scegliendo di volta in volta il canale: primo, secondo o terzo. Lo spettatore può così seguire le vicende di moglie e marito, Samra e Rashid, narrati secondo punti di vista differenti, mentre sullo schermo posto alle spalle delle tre attrici, scorrono diverse immagini, da quelle di un video di reclutamento dello Stato Islamico con scene di guerra e terrore, a quelle che riportano le note del dossier del processo. Ma il momento chiave di tutto lo spettacolo è la proiezione di una scena de La Battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, vincitore del Leone d’Oro alla 27ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. La scelta infatti di inserire il film all’interno dello spettacolo suscita nello spettatore domande e perplessità: si tratta di un possibile parallelismo tra fatti storici lontani e vicini o va inteso come elemento storico detonatore, un improvviso cambio di prospettiva con cui guardare agli avvenimenti?
Nessuna conversazione degna di rilievo crea un articolato intreccio fra i dialoghi, le modalità con cui vengono proposti e le visioni che ne scaturiscono. Ne emerge un lavoro documentale di forte impatto visivo, che non pretende di giungere alla definizione di un fenomeno, ma di suggerirne piuttosto i contorni, i margini che restano per lo più sfuocati. Non è casuale la scelta di porre gli spettatori all’interno di un flusso che somiglia a quel magma mediatico che accompagna le nostre vite fino a diventarne elemento corrosivo e di assuefazione. I partecipanti alla dinamica scenica nel tentativo di tracciare punti di connessione fra i vari piani proposti divengono a loro volta parte integrante del processo drammaturgico. Al pubblico, in altre parole, spetta la difficile scelta della messa a fuoco, seguendo così l’invito di creare un percorso critico del tutto personale, acquisendo consapevolezza della diversità di quanto si vede/ascolta.
Roger Bernat e con lui il drammaturgo Roberto Fratini offrono un materiale documentale secondo una lettura stratificata fra visione e ascolto, che sancisce nello spettatore una sensazione di netta scomodità: per quanto si impegni non potrà mai vedere le cose nel loro insieme, vivrà sempre nell’assenza, nella consapevolezza di una parte mancante. È il senso di impotenza di un’azione che resta pur sempre parziale e de-strutturante, una performance che pone l’individuo di fronte alla difficoltà di assumere una posizione e a una necessaria perplessità nel farlo. In campo, si badi bene, non c’è alcun intento didattico, pedagogico o di approfondimento della tematica proposta, piuttosto un cambio di prospettiva che può conferire così la possibilità di vedere l’irrilevante alle luce del rilevante. Un semplice ribaltamento che è però l’origine di un’intera fabbrica di pensiero.
Carmen Pedullà
Nessuna conversazione degna di rilievo
di: Roger Bernat
con: Ernesta Argira, Alessandra Penna, Giulia Salvarani
drammaturgia: Roberto Fratini
produzione: Elèctrica produccions, Marche Teatro
coproduzione: Triennale Teatro dell’Arte, Mucem Marsiglia
Visto nell’ambito di Inteatro Festival al Cinema Italia di Polverigi_ il 1 luglio 2017