L’atrio del Lavoratorio è caldo e accogliente mentre si aspetta che Andrea Macaluso inauguri ufficialmente l’ottava stagione e introduca il pubblico al di là della tenda nera, dove andrà in scena Entertainment, opera del russo Ivan Vyrypaev diretta da Gianni Farina della compagnia Menoventi. L’incertezza di ciò che ci aspetta è un prodigioso generatore di emozione e le due platee speculari che ci troviamo di fronte quando entriamo in sala contribuiscono ad alimentarla.

Lo spettacolo inizia in forma di déjà-vu: un uomo e una donna – interpretati da Francesco Pennacchia e Tamara Balducci – prendono posto entusiasti nelle file di sedie che fanno da specchio alle nostre. Poi una voce registrata – quella di Consuelo Battiston – annuncia l’inizio dello spettacolo. La coppia di attori-spettatori si prepara dunque ad assistere a una commedia inizialmente accessibile al pubblico solo tramite ciò che i due ne raccontano. Dalle loro parole apprendiamo che una donna, Margot, ha appena dichiarato il proprio amore a Steven, impossibilitato a ricambiare in quanto già legato alla moglie Rebecca. Nelle rappresentazioni a teatro di Entertainment era il palcoscenico a ospitare il pubblico, mentre i due attori entravano e si sedevano in platea. La sala del Lavoratorio ha richiesto, invece, un ripensamento scenico, basata non più sul rovesciamento tra i consueti ambiti spaziali e sul conseguente senso di alterità nel pubblico, ma su una duplicazione della platea. Questa scelta rende forse maggiore giustizia al testo di Vyrypaev, se lo scopo è quello di guidare gli spettatori non tanto a dubitare del proprio ruolo, quanto piuttosto a chiedersi in che cosa esso consista, osservando ciò che li accomuna a quelle due figure sedute di fronte a loro.

La naturalezza con cui la spettatrice Balducci attribuisce all’attrice e non al suo personaggio, Margot, l’amore per Steven fa nascere tra i due una discussione fatta di malintesi ed equivoci verbali. Tuttavia i numerosi dubbi della donna in platea, a primo impatto fastidiosamente ingenui, appaiono – a pensarci bene – quelli di ogni spettatore di fronte al gioco ambiguo che si svolge su un palco. I quesiti metateatrali sul labile confine tra l’identità dell’attore e quella del personaggio, che altrimenti rischierebbero di risultare piuttosto banali, sembrano invece, con il procedere dello spettacolo, sempre più debordanti dai confini del palcoscenico e volti a interrogare la realtà. La comicità quasi stucchevole del dialogo tra i due spettatori acquisisce così un’altra luce, suggerendo di non eccedere nella serietà dell’indagine e di abbandonarsi alle regole assai poco rigide del gioco.

«Tutto è possibile», ripete più e più volte il testo, sia attraverso le parole degli spettatori sia tramite quelle di Margot e Steven, ovvero le due coppie di personaggi che Balducci e Pennacchia interpretano alternativamente, con crescente frequenza e costante maestria. Realtà e finzione non possono essere date per scontate, a partire dal personaggio di Rebecca e dal sentimento a lei rivolto. Se si possa amare qualcuno che non c’è è, infatti, un altro tema affrontato a più riprese dal testo. Rebecca non appare mai in scena: Margot suggerisce addirittura l’ipotesi che si tratti di un’ombra, quella della paura di Steven di abbandonarsi all’amore per la donna davvero presente di fronte a lui. Eppure, il fascino di Rebecca attraversa l’intero spettacolo e attrae l’attenzione di tutti i presenti. D’altra parte, il fatto che la moglie di Steven sia reale o fittizia non ha granché importanza, se lo stesso amore – suggerisce con voce vellutata Margot – può mutare oggetto. Il testo di Vyrypaev è costruito su una ripetitività estrema, tale da apparire quasi estenuante. Così accade sul finale, di fronte al circolo in cui Margot e Steven rimangono incastrati al momento dell’addio. La scena finisce per perdere ogni tensione, nonostante l’essenziale ma efficace luce aurorale ricreata sul muro retrostante da Luca Telleschi. Tale ridondanza risulterebbe forse insopportabile se, nel porre al pubblico tanti martellanti interrogativi, non fosse anche utile a suggerire di non prenderli troppo sul serio.

La forte sensazione di essersi persi in un labirinto accompagna la visione di Entertainment, in un sistema di specchi in cui – come si ripetono a vicenda Margot e Steven – «senza di te io non esisto». È difficile dire chi dia inizio alla catena, e del resto stabilirlo non sarebbe sufficiente a inquadrare una realtà assoluta, perché non c’è personaggio e verità di Entertaiment che non si smentisca numerose volte. Tuttavia, se un forte senso di ambiguità accompagna il pubblico durante l’intero spettacolo, il titolo inglese ci viene in soccorso ricordandoci che ciò a cui stiamo assistendo è soltanto un “gioco”.

Serena Chiaramonte


in copertina: foto di Ilaria Scarpa

ENTERTAINMENT
una commedia in cui tutto è possibile
di Ivan Vyrypaev
con Tamara Balducci e Francesco Pennacchia
regia Gianni Farina
traduzione Teodoro Bonci del Bene
immagine Magda Guidi
voice over Consuelo Battiston
tecnica Luca Telleschi
organizzazione Marco Molduzzi, Maria Donnoli
logistica Greta Mini
comunicazione e promozione Maria Donnoli
produzione Le Città Visibili, E production/Menoventi
si ringraziano l’associazione L’Attoscuro e il Comune di Montescudo – Monte Colombo

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica #2