È appena terminata la ventinovesima edizione del Festival MilanOltre, ospitato come ogni anno dall’Elfo Puccini. Quasi tre settimane di danza d’autore, tra nomi internazionali e realtà nostrane, caratterizzate dalla molteplicità di metodi, visioni, sguardi.
È cosa normale, per chi frequenta il festival, fermarsi nel foyer a commentare, comparare, dichiarare la propria vicinanza all’una o all’altra estetica coreutica: ma non ci si rende conto di quanto preziosa e rara sia l’occasione nel, pur ricco, panorama milanese. Se altrove (per esempio nella stagione di danza del Teatro Comunale di Ferrara) una programmazione continuativa, interamente dedicata alla coreografia contemporanea, ha creato alla lunga un pubblico aggiornato e consapevole, a Milano non accade nulla del genere: la danza si infila furtiva in certi buchi di cartellone, penetrando qua e là al Parenti, al Piccolo, agli Arcimboldi, al Crt Milano, al Pim Off. Ma è difficile, in una simile intermittenza di proposte, allargare il bacino degli spettatori e incuriosirli sulle più recenti tendenze del panorama internazionale.

Ci prova MilanOltre, pur nel poco tempo concesso ad un festival e nell’endemica difficoltà di risorse, non rinunciando a invitare rilevanti ospiti stranieri: quest’anno la scelta è caduta sul Quebec, culla artistica di due interessanti coreografe, Virginie Brunelle e Marie Chouinard. Al centro del lavoro compositivo della Brunelle (che si avvicina alla danza insolitamente tardi, dopo i 20 anni) c’è il rapporto tra il maschile e il femminile: sfuggenti poli di genere in costante contrapposizione. I due spettacoli presentati (Complexe Des Genres e Foutrement) lasciano emergere un originale linguaggio coreografico, con particolare predisposizione per intensi momenti a due e icastiche immagini di gruppo. Più nota al nostro pubblico la collega Chouinard, in tournée italiana in questi mesi tra RomaEuropa e la Biennale di Venezia: in cartellone al festival sono stati presentati ben tre titoli diversi, di cui uno (lo spettacolo cult bODY-rEMIX) è stato riallestito ad hoc a dieci anni dal debutto. Filo conduttore delle creazioni è l’indagine dei confini, la messa alla prova di ogni barriera: e se in bODY-rEMIX i corpi venivano tesi e destrutturati fino quasi a perdere la connotazione umana, in Soft Vituosity, still umid, on the edge è la nostra concezione del tempo a venire messa alla prova.

Come ogni anno, il festival riserva una vetrina a una larga rappresentanza della coreografia nostrana: da Simona Bucci a Enzo Cosimi (con l’ineffabile e criptico Sopra di me il diluvio), fino agli emergenti danzatori Fattoria Vittadini. Notevole infine il focus su MK, considerata a buon diritto una delle realtà più interessanti della nostra scena; le creazioni di Michele Di Stefano, coreografo della compagnia, si distinguono per precisione formale, pulizia compositiva, per il talento polivalente dei performer (su tutti l’onnipresente Biagio Caravano) e l’orginalità delle partiture sonore di Lorenzo Bianchi Hoesch. È un piacere rivedere Robinson, giustamente applaudito nella scorsa stagione e forse uno dei risultati più maturi e completi di Di Stefano, e sorprende anche la nuova creazione HEY, presentata in anteprima assoluta al festival: un nucleo ancora in sviluppo ma di straniante carica ironica. Una danza, quella di Mk, che sa ridere e riflettere su se stessa senza divenire autoreferenziale.

Maddalena Giovannelli