Giunti alla fine di questa seconda Officina, ci siamo dati il compito di descrivere in cento parole questi mesi trascorsi accanto al Lavoratorio. Una prima chiave sta proprio in questo «accanto». Essere parte di Officina ha significato affiancare una stagione passo dopo passo: ci siamo conosciuti non solo tra un incontro e uno spettacolo, ma anche ritrovandoci a sbirciare dietro le quinte dei seminari, preparando interviste, correggendo bozze oppure bevendo un caffè nella cucina di Andrea e prendendo un libro in prestito dalla sua biblioteca teatrale. Ecco qui, allora, le nostre declinazioni dell’accanto.

a cura di Alessandro Iachino e Virginia Magnaghi


Officina Critica è un laboratorio di ceramica senza argilla, senza tornio, senza forno. È una scuola di danza senza scarpette, senza sbarra, senza ritmo. È un corso di pittura senza pennelli, senza colori, senza plein air. È come la tassidermia con niente di morto, come il nuoto ma non nell’acqua, come il paracadutismo senza staccare i piedi da terra. Ed è tutto questo, anche ciò che non è, e pure di più: di sicuro non è solo critica.

Marco Bartolini


Officina critica è un farmaco dalle straordinarie proprietà. Il suo principio attivo acutizza i sensi e favorisce l’osservazione da tutte le angolazioni possibili. La terapia di base prevede la somministrazione una volta ogni due settimane, ma eventi al Lavoratorio possono richiedere assunzioni più frequenti. Tra gli effetti collaterali vi sono testa pesante e senso di vertigine, ma un quotidiano esercizio di rielaborazione di pensieri e assemblaggio di parole permette di contrastarli. Officina è un farmaco rivolto principalmente agli amanti del teatro, ma è consigliabile a chiunque debba integrare il fabbisogno giornaliero di sguardo critico. Attenzione: l’assunzione prolungata può creare dipendenza. 

Serena Chiaramonte


Ho voluto partecipare ad Officina critica, voluto davvero, contro età e competenze oggettive, nonostante la vocina che mi incita a fuggire ogni volta: perché la visione acquisti struttura, nomi, e diventi racconto. La critica è scelta: scegliere dove posare lo sguardo, a cosa dare luce, spazio. Non si tratta di pro o contro, è scovare, nella trama, l’essenza: quello che di un lavoro è l’elemento suo, intimo. Per questo sono qui: per vedere, scegliere, raccontare.

Valeria Cirillo


La critica si fa sottovoce e non si rivendica. Il mestiere del critico va raffreddandosi anno dopo anno e lascia il posto alla cenere grigia. Officina critica la raccoglie nel proprio camino, soffia sulla brace per tenerla viva e riaccende le coscienze sopite. Sono una di quelle coscienze, ne ho conosciute altre nove e non mi sento più sola. Sono Tommaso, un operaio di Officina critica. Siamo una fabbrica che produce cultura, e la cultura non inquina. 

Tommaso Quilici


Venghino signori, venghino. Siete pregati di prendere posto in sala, lo spettacolo sta per cominciare. Una produzione originale Officina critica: in scena c’è lo spettacolo, c’è la scrittura, ci sei tu! Accompagnati da dieci protagonisti di eccezione, ci immergiamo in un mondo fatto di penne smangiucchiate nell’attesa che arrivi l’ispirazione, tamburellate su un quaderno pieno di cancellature. Officina critica parla di quelle sfide che ti riservano le cose belle: quelle che senti alla bocca dello stomaco e che talvolta non sembrano trovare lo spazio per uscire. Officina è una testimonianza che cerca una voce per liberarsi e che aspetta te per essere raccontata.

Francesca Rallo


Generalmente implica un ambiente in cui si pratica un’analisi critica approfondita. Più o meno così ChatGPT, dopo un lungo elenco fatto in pochi secondi definisce un’officina critica. Per me Officina critica è stata la descrizione di attimi di tanti spettacoli. Se uno spettacolo fosse un fiammifero, regista, attori e spettatori lo vedrebbero accendersi, brillare e poi spegnersi a suon di applausi. Il testo, allora, sarebbe un attimo di poesia che splende sul palco. Il buon critico teatrale, con occhio attento ridisegna la scintilla irripetibile dello spettacolo e la ricorda attraverso le sue sensazioni personali. Prende lo spettatore per mano e lo accompagna nel sentiero del ricordo fornendo buone indicazioni. Noi abbiamo provato a farlo, è stato affascinante. ChatGPT ha fatto velocissimamente un impersonale elenco, direi da neo-critica, ma forse anche io in soli cento caratteri. Però questo spetta a voi dirlo, buona visione.

Eugenia Tafi


Entrare al Lavoratorio è come entrare in una casa: suono il campanello e qualcuno viene ad aprirmi. È un luogo nascosto, bisogna sapere dov’è per incontrarlo, e questo lo rende ai miei occhi un po’ magico e sicuramente prezioso. Sono le coordinate di un fiore: si schiude ogni volta che giro l’angolo ed entro nel cortile. Quando Officina critica si riunisce, ci troviamo esattamente nello stesso luogo in cui è avvenuto lo spettacolo, in cui si è svolto il seminario: ci troviamo sopra, anzi, dentro. Ognuno di noi ci sta dentro in modo diverso – con i suoi piedi, i suoi occhi, le sue mani – e nelle parole dell’altro scorgiamo qualcosa che ci era sfuggito.  

Emma Vanni


in copertina: foto Il Lavoratorio

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica #2