«Scandalo è il taglio di Fontana sulla tela bianca. Scandalo è qualcosa che porta a galla una necessità, un non detto, un rimosso. Scandalo e scandaglio: parole affini». Scandalo è ciò che provocò il testo teatrale a cui Giuliano Scarpinato ha dedicato il suo ultimo seminario al Lavoratorio: Girotondo di Arthur Schnitzler. La colpa del drammaturgo fu quella di rappresentare – con le parole di Scarpinato, raccolte in una conversazione tenuta a margine del seminario – «l’eros in tutte le sue sfumature, di renderlo protagonista senza infingimenti e senza fronzoli». Questa forza scandalosa, però, può emergere ancora oggi attraverso «il lavoro che Schnitzler fa sui personaggi, sulle psicologie, sulle relazioni, attraverso una lingua meravigliosa, mirabolante».

Lo scandalo, del resto, accomuna Schnitzler e Scarpinato. Il primo, nel 1900, fu accusato di “comportamento indecente”: seguì un processo, poi la censura. Il secondo ha provato sulla propria pelle gli effetti negativi di uno scandalo con il suo spettacolo Fa’afafine, andato in scena nel 2014 e incentrato sulla fluidità di genere nei bambini: «avevo unito identità di genere e infanzia, due temi assolutamente intoccabili in Italia». Tutto quello che Fa’afafine ha provocato rientra però nella sua visione del teatro, «un teatro che squarci dei veli e porti a un dialogo, a un dibattito, e che in tal senso sia anche politico».
Questo modo di guardare al teatro permea tutti i lavori e progetti di Scarpinato, e dunque anche questo workshop, intitolato Schnitzler Suite, diventa occasione «per svelarsi, per sprofondare, per interrogarsi». «La parola “suite” mi fa pensare alla musica: vedo il teatro e il gioco attoriale come una sinfonia. “Suite”, poi, mi riporta a qualcosa di intimo, di segreto, anche potenzialmente osceno: mi piaceva questa duplicità». Il seminario, dunque, è un’occasione in cui undici giovani attori e attrici possono sperimentarsi, confrontarsi, «accordarsi»: sei beat da percorrere, da una solitudine a un’altra, passando, nel mezzo, per un amplesso troppo spesso insoddisfacente. Il girotondo, appunto, è quello compiuto dai dieci personaggi, che a coppie si incontrano negli altrettanti dialoghi dell’opera originale.

Il lavoro parte anche dai costumi, da ciò che si sceglie di portare in scena. Indossare, in fondo, significa coprirsi per riscoprirsi. L’abito è necessario: per l’attore, che deve cercarlo nel proprio vissuto, e per lo spettatore, che guarda e sente attraverso l’attore, in un rapporto duplice e complice. «Per me è fondamentale il come vestirsi, così come il quando svestirsi. L’uso del nudo in teatro è da approfondire caso per caso. Ci sono spettacoli della Socìetas Raffaello Sanzio o di Emma Dante in cui la nudità fisica è davvero metafora: è nudità esistenziale, è disarmo. Rifuggo dalla nudità fisica fine a sé stessa: sicuramente non è la prima cosa a cui penso quando voglio portare in scena delle persone scorticate», afferma Scarpinato, richiamandosi al quasi omonimo spettacolo di Emma Dante, che tanto spesso l’ha diretto in scena.

Nel corso del seminario Scarpinato lavora dettaglio su dettaglio. Frame by frame, diremmo se fossimo al cinema. E al cinema Giuliano riporta spesso, alla ricerca di immagini chiare, univoche.«Pensa a Penelope Cruz in Non ti muovere. Sei come lei: volgare, sensuale, si deve sentire il tuo odore, il bisogno di animale in cerca di qualcosa da sedurre, mangiare, scarnare. Si deve sentire la tua fame. Sei una popolana, sei Sophia Loren, senti questi vicoli sudici e bui». Così Scarpinato si rivolge ai propri allievi: i riferimenti spaziano da Anna Magnani a Lezioni di Piano, da Renato Pozzetto alla nuova serie Dahmer. A partire da tutto si può raccogliere, immaginare, creare il nostro personaggio. Si può usare ogni elemento: perfino il libro, quando le battute non sono ancora memorizzate, può diventare elemento drammaturgico.

Anche la musica, all’interno del lavoro del regista, torna continuamente come elemento cardine per trasportare attori e attrici, spettatrici e spettatori dentro l’immagine, nel sentimento che si sta rappresentando. Viene usata sia come elemento di aggregazione sia per accentuare un sentire drammatico, e chissà che in futuro questo lavoro sulla musica non possa essere approfondito in direzioni nuove: «Mi piacerebbe moltissimo fare una regia d’opera, per l’affinità lapalissiana tra teatro e musica e per il mio sentire sempre fortemente musicale rispetto al teatro».

Scarpinato, nei suoi allievi, ricerca la materia su cui lavorare, da valorizzare e fare emergere: il thrilling – così lo definisce – va trovato nell’attore, ma soprattutto nel personaggio e nelle sue ferite. Tutto nasce infatti da alcune domande: quali sono le ferite dei personaggi che interpretiamo? Chi incontreranno? Come quell’incontro cambierà le loro vite? Difficilmente un’esperienza dell’umano può esserci completamente, realmente, estranea: è in queste esperienze che quel brivido, quel thrilling, quella sensazione di riconoscere qualcosa di noi anche nelle vite altrui, si concretizza e manifesta.

a cura di Marco Bartolini, Valeria Cirillo, Emma Vanni


in copertina: Giuliano Scarpinato, Favola, foto di Rosellina Garbo

Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico Officina Critica #2