Gli interrogativi si moltiplicano e le chiavi di lettura sembrano infinite: sono gli effetti collaterali del teatro di Milo Rau, che lo hanno reso uno dei nomi di punta del teatro europeo.
Non fa eccezione Orestes in Mosul, l’ultimo lavoro del regista che affronta per la prima volta la messa in scena di un testo classico. Non è difficile immaginare la complessità dell’impresa, se si ricorda che nel suo decalogo Rau vieta, in modo provocatoriamente puntuale, di utilizzare in uno stesso spettacolo più del 20% di citazioni dirette da un classico. Ma non è abbastanza.
L’Orestea è la tragedia che, nel raccontare la complessa affermazione in Grecia di uno stato di diritto, si conclude con il giudizio di un tribunale. E il regista svizzero è uno che di giustizia, nei suoi risvolti scenici, si è occupato in lungo e in largo, tanto da intendere il “processo” non solo come un format per la scena, ma come il nucleo del rito teatrale tout-court (si pensi a Last Days of the Ceausescus, Breivik’s Statement, The Congo Tribunal, Les proces de Moscou).
Da che parte cominciare dunque?
Milo Rau sembra avere le idee molto chiare e, come di consueto, agisce sul campo. Nel 2018, insieme a un gruppo di attori belgi e iracheni immigrati in Occidente, parte per l’Iraq, destinazione Mosul, l’antichissima Ninive, nota alle cronache recenti per essere stata la capitale dell’Isis, da poco liberata dal califfato. I rischi di questo viaggio, molto più concreti che artistici, sono ben chiari al regista, che già in occasione di Empire (2016) aveva visitato la regione.

Ma a svolgersi lontano dall’Europa non è solo la fase preparatoria; lo spettacolo ha infatti debuttato nelle strade di Mosul, insieme ad attori e cittadini del luogo.
E a ben vedere l’Orestes è andato in scena solo quell’unica volta.
Il lavoro che vediamo nelle sale europee nasce dal tentativo di riprodurre sul palco un’azione teatrale irripetibile. E la ragione non è solo l’impossibilità per molti degli interpreti di uscire dall’Iraq – circostanza che di per sé dà la misura dell’effetto che questa operazione può avere in una città di fatto ancora in stato di guerra – ma tocca le più profonde intenzioni politiche che hanno spinto il regista a partire, Orestea alla mano, per il Medio Oriente.
Lo spettacolo si configura, quindi, a tutti gli effetti, come un dialogo serrato e a più voci con ciò che è già accaduto. In pratica, il meccanismo scenico consiste nell’utilizzo di video che, secondo un procedimento che abbiamo imparato a conoscere, moltiplicano i piani di realtà. Ma, se nei precedenti lavori lo schermo pareva agire in risposta alla rappresentazione, qui accade in un certo senso il contrario. È il filmato che in primo luogo produce una reazione sulla scena: sono gli interpreti sul palco a riprodurre (anche per variazione) quanto accaduto a Mosul.


La fase di documentazione e di ricerca, che pure ha una parte scenica fondamentale in tutti gli spettacoli del regista (il recente The Repetition ne è un buon esempio), e che, sempre secondo il manifesto di Gent, deve essere resa accessibile al pubblico, coincide in larga misura con la rappresentazione.
Ma quello che, in un primo momento, potrebbe sembrare un making of commentato, viene presto ricondotto a un’unità estetica e drammaturgica che, in modo apparentemente naturale, ritrova il senso più profondo della trilogia eschilea. E qui sta la forte presa di posizione di Milo Rau: non solo la tragedia oggi ha senso soltanto se posta in relazione (e messa in scena) in un preciso contesto politico, ma il precedente letterario diventa, nel caso dell’Orestes, la chiave per accedere a una realtà altrimenti non rappresentabile. È l’Orestea, nei suoi temi e nella sua struttura, a garantire il funzionamento del reenactment.


In questo processo, un ruolo non secondario è svolto dalla forza drammatica delle immagini che dallo schermo puntano dritto al pubblico: la città antica, ancora magnifica nella sua devastazione, l’esecuzione di Ifigenia con indosso un velo nero e una tuta arancione, Pilade che parla con un giovane fotografo, sul tetto del centro commerciale da cui i miliziani hanno gettato nel vuoto i cittadini omosessuali.
Come una guida, gli episodi centrali della tragedia (il ritorno di Agamennone, l’uccisione di Clitemnestra e il processo) scandiscono un complesso intreccio tra biografia degli attori, storia del luogo, vicende e personaggi del testo di partenza.
L’interminabile catena di violenza a cui è stato sottoposto il nord dell’Iraq (la guerra con l’Iran, il genocidio dei curdi e degli sciiti, l’invasione americana, la dominazione del Daesh e la devastante liberazione dal califfato) è per analogia la stessa che ha funestato la casa degli Atridi.
Nell’Orestea, Eschilo, attraverso l’istituzione del tribunale dell’Aeropago e l’assoluzione del matricida Oreste, pone fine alla serie ineluttabile di delitti e insieme al principio arcaico dell’ereditarietà della colpa.
Ma l’happy ending della tragedia — e questo vale tanto ad Atene quanto a Mosul — è ben più amaro di come appare al primo sguardo. A voti pari dei membri dell’Aeropago, Oreste viene assolto da Atena, constatando sottotraccia l’impossibilità per gli uomini di stabilire una giustizia definitiva. Anche dal tribunale allestito a Mosul, in cui alcuni giovani sono chiamati a giudicare in absentia i miliziani dell’Isis, non uscirà una sentenza né unanime né definitiva.


Come univoca non è nemmeno la direzione del lavoro di Rau e dei suoi attori. Non si tratta infatti solo dell’Occidente che interroga il Medio Oriente. Un andirivieni ben più movimentato consuma le distanze e l’indagine su quanto accaduto a Mosul e mette presto in discussione anche il nostro sguardo sul presente. Che fine farà la richiesta di aiuto di una delle molte Ifigenie, rapita dai miliziani, e ora rinchiusa nei campi di prigionia riservati ai fedeli al califfato? Il bacio tra Pilade e Oreste davanti agli occhi del coro composto dai giovani di Mosul, potrà in qualche modo scalfire questa catena di violenza? La risposta è incerta.

Camilla Lietti

Orestes in Mosul
Regia di Milo Rau
Drammaturgia: Stefan Bläske
basato sull’Orestea di Eschilo
visto al NTGent il 17 aprile 2019
ora in scena la Teatro Argentina di Roma in occasione del festival Romaeuropa_23-25 settembre 2019