In un’assolata giornata estiva, due intraprendenti turiste europee visitano il centro storico di Dacca alla ricerca di specialità culinarie locali. La famosa via Peth-rellah, nota per i suoi storici ristoranti che preparano il Dahl secondo l’antica ricetta, è segnata su ogni guida che si rispetti. Le facciate dei palazzi ricordano sorprendentemente lo stile di alcuni edifici di Milano, si potrebbe pensare a qualche architetto meneghino emigrato in cerca di fortuna ma con un po’ di nostalgia.
Benedetto Marcello è un essere mutevole: il viale, da parcheggio, si trasforma in mercato; il vociare e l’odore del pesce (e di benzina) ricoprono le piazzole di sosta. Qualche bicicletta staziona, e poi riparte. Per Benedetto Marcello si passa veloci, tra la stazione Centrale e Buenos Aires, trafelati, con pacchetti e biglietti. Pochi si fermano. In una mobilità divenuta routine, qualcos’altro staziona: l’ambulatorio mobile di Emergency, per medicina di base, assistenza, esami, orientamento sanitario. In fondo, in Benedetto Marcello, il liberty è velleità dei pochi che restano.
La luce alla fine del tunnel. Il buio oltre il passaggio pedonale. I sottopassaggi della stazione Centrale segnano e separano i quartieri. Uno di essi dà riparo alle automobili in cerca di movida. Altri offrono riparo a persone senza fissa dimora. Lì, nel confine d’ombra, in un attraversamento veloce e distratto, si affastella il resto dell’umanità urbana. Sopra corre, corre, corre la locomotiva; sotto dormono dormono sul marciapiede. Si saranno mai parlati?