Una sedia libera. Fra le altre quattro, al centro di un grande parlamento, un dialogo in continua evoluzione, fatto di parole importanti: trasparenza, accessibilità, contraddizione. Una partecipante, dal consesso del giardino di Centrale FIES, occupa la sedia libera e prende parola. Subito un interlocutore lascia il proprio posto per lasciare ancora una sedia libera. E così via. Basterebbe l’introduzione di questa pratica dialettica (il cosiddetto open fishbowl) a fotografare la cura e l’ambiente confortevole, libero e critico di FEMINIST FUTURES FESTIVAL, organizzato dal network europeo dedicato alle arti performative apap e ospitato da Centrale Fies dall’1 al 3 luglio. «Perché anche se abbiamo intenzione di parlare a tutt*, aprire a tutt*, ci sarà sempre qualcuno a cui non riusciremo ad arrivare, che rimarrà indietro, anche per colpa nostra»: queste le parole con cui la ricercatrice Mariella Popolla motiva la scelta del parlamento fishbowl che chiude la terza mattinata di Feminist School, dopo un incontro con Chiara Bersani e un workshop nel bosco attorno la centrale con Anne Lise Le Gac. Lasciare una sedia libera, per quanto sia un gesto minimo, assume quindi una valenza politica, critica, una piccola pratica che ben restituisce lo spessore teorico e socio-culturale di un festival performativo ispirato al femminismo intersezionale e ai processi di inclusività.
Ma i bei principi e le buone pratiche non funzionano se calate dall’alto in un contesto chiuso e poco accogliente. Ed è qui che l’attenzione dei curatori del festival, Barbara Boninsegna e Filippo Andreatta, e dei loro collaboratori, dà il meglio di sé: performance, mostre, coreografie, letture e azioni itineranti si intrecciano e susseguono con estrema fluidità, dialogando con i vari spazi offerti della centrale e soprattutto con un pubblico sempre più libero di percorrere, attraversare, connettendo immagini, pensieri ed emozioni.
L’operazione decostruttivista, critica e femminista di FEMINIST FUTURES FESTIVAL trapela da ogni angolo della centrale, trasuda da ogni gesto artistico senza mai calcificare in messaggi ideologici, e influenza gli sguardi del pubblico che si ristora nel giardino con un salutare frastornamento. In questi spazi di contraddizione e libertà creati intorno e all’interno della centrale, non mancano momenti di grande intensità, affidati ai veri e propri protagonisti del festival. E fra i molti temi che si legano a questo appuntamento di apap, emerge con particolare vigore quello del linguaggio, che coinvolge più di uno spettacolo. Grande campo di decostruzione post-moderna, a Fies il linguaggio entra nelle dinamiche performative passando per porte e finestre insolite, che le artiste e gli artisti riescono ad aprire con ironia ed efficacia. Non passa inosservata la reiterazione di alcuni stilemi particolarmente consoni a questo grande tema: il playback, la proiezione di parole, la distorsione vocale.
Testi a cura di Riccardo Corcione