Lezione-spettacolo su Eduardo De Filippo
a cura di e con Massimiliano Civica
vista nella rassegna Stanze, il 26 febbraio al Crazy Art

La location è di per sé suggestiva: un grande magazzino di antichità, pezzi rari, costumi, orpelli, mobilio, stravaganze. Potrebbe essere quello dei Saporito de Le voci di dentro, oppure la stanza dei trucchi di Sik Sik, o quella del prestigiatore della Grande Magia. Invece esiste per davvero, si chiama Crazy Art e lambisce viale Monza, poco più a nord di piazzale Loreto, in una zona post industriale che si svela tra ponti ferroviari e capannoni, e dove qualche nuovo palazzo fa bella mostra di sé. Varcandone la soglia, si entra in un’altra dimensione, non c’è traccia di quarta parete e si è già dentro uno spettacolo, tra le righe di una, cento, mille storie. Qui ha deciso di ambientare la sua lezione-lettura milanese Massimiliano Civica, due volte premio Ubu, già insegnante all’Accademia delle Belle arti di Genova e alla Silvio D’Amico di Roma. È dedicata alla vita e alle opere di Eduardo De Filippo, l’ha chiamata: “Parole imbrogliate”. Imbrogliate come gli aneddoti, le frasi e il carattere del drammaturgo napoletano, emblema, secondo Civica, di quella “tradizione del nuovo” che ha fatto il teatro italiano grande nel mondo e per l’eternità. Perché quando saremo tutti automi con i Google glass agli occhi, “ci sarà sempre qualcuno che si riunirà in una stanza per vedere qualcosa che accade lì, sul momento: quello sarà teatro”, dice Civica.

E magari sarà il teatro di Eduardo, che l’attore mostra di amare e comprendere in maniera profonda, ammettendone limiti e grandezze, ammirandone soprattutto la devozione per l’arte e l’artigianato del teatro. Civica è efficace, maestro e allievo insieme, diverte e divaga, tanto, ma senza stufare, con l’appetito e il gusto di chi tiene il bandolo della matassa e sa che ogni storia porterà a un’altra storia più bella. Si esce rinfrancati, per varie ragioni. La prima, il pubblico numeroso (oltre 70 persone) che si è raccolto ad ascoltare, imparare. La seconda, la sensazione di piacevole sorpresa nel farsi accompagnare in un viaggio senza meta ma tra strade dai panorami mozzafiato – e il nostro teatro, tra immortali come Eleonora Duse, Salvo Randone, Memo Benassi, Camelo Bene, ne regala tanti. La terza, l’aver svecchiato con estro e sapienza l’espressione Teatro all’italiana, immergendola nella criticità delle svolte, delle anse della storia. Come quando Eduardo litigò con Peppino, o quando la compagnia diffidava di quella cosa ‘nuova’ che era Napoli Milionaria. “Non possiamo fare questo a Napoli”, gli dicevano. E invece sì, si può. “Così ho detto il dolore e le contraddizioni di tutti”, rispose Eduardo. Un uomo testardo e solo nel suo “gelo”, che passò la vita cercando di mettere in comunicazione tutto e tutti, mondi e anime, uomini e donne sole nei loro abissi, al di là delle apparenze, oltre i legami precostituiti, con l’ansia di potere approdare oltre la tradizione, verso il futuro. Più contemporaneo di così.

Francesca Gambarini

Per scoprire i contenuti dello speciale di Stratagemmi dedicato all’Alcesti di Massimiliano Civica, leggi l’editoriale del numero 32 (2015)