I due uomini sono uno accanto all’altro, non si guardano, ma le loro braccia si allacciano come quelle di un corpo solo. I volti sono seri, concentrati su altri gesti, interiori. Ma i movimenti nell’aria sono precisi e controllati, perfettamente sincronizzati: pochi passi in avanti, alcuni in diagonale, poi qualche passo indietro, come se percorressero una scacchiera.
La relazione fra i corpi dei due danzatori Filippo Porro e Simone Zambelli costituisce l’essenza di OMBELICHI TENUI – Ballata per due corpi nell’aldilà, progetto selezionato nel contesto del bando Supernova 2022 di Pergine Festival. Elaborata con la consulenza di due antropologhe specializzate sul tema del fine vita, la performance vuole raccontare le fasi di una perdita, ripercorrendo una relazione che va dall’incontro di due personaggi fino alla loro separazione. Tramite l’essenzialità del gesto, la danza diventa un racconto senza tempo, reiterato da un’epoca ancestrale. La scenografia si fonde con lo spazio dell’Ex rimessa carrozze e contribuisce a sfumare le coordinate spazio-temporali dell’azione: il colore delle pareti e delle colonne illuminate dalla luce calda dei fari si confonde con quello dei blocchi di pietra disposti lungo i bordi della scena, e si aggiunge al candore gessoso delle maschere indossate dai performer, immobili ai lati opposti della stanza.
Con la ieraticità di due divinità egizie, metà uomo e metà animale, i due cominciano a camminare lentamente, controllando ogni frazione di movimento e spostando uno a uno i cubi di pietra per sistemarli con cura sul pavimento. Nel silenzio denso della sala si avverte un suono, sottile come il fruscio della sabbia del deserto, che si sovrappone ai rumori provenienti dall’esterno. In un crescendo graduale di tonfi e colpi di scalpello sempre più assordanti, ci ritroviamo immersi nel panorama sonoro di un cantiere invisibile, nel lavoro materico di una roccia dura e antica. Poi, buio e silenzio.
Quando la luce si riaccende, comincia la storia danzata di una relazione fra individui, senza maschere né musiche, trasfigurata in puro movimento. Porro e Zambelli prestano il loro corpo all’esplorazione di tutte le gradazioni di un rapporto senza connotazioni specifiche: dall’indifferenza alla disperazione, dall’amore all’odio, dall’incontro alla solitudine. Tramite gesti sincroni, i due performer, uno accanto all’altro, si muovono con esattezza su due orbite parallele destinate a non incontrarsi mai. Poi, come succede nella vita, qualcosa accade – una piccola asincronia, una distrazione, il ritardo di una frazione di secondo – e il perfetto meccanismo si inceppa: sono diventati due corpi consapevoli l’uno dell’altro. La danza diventa allora un corteggiamento, prima timido e ritroso, poi vorticoso e appassionato. I danzatori si inseguono e fuggono, si prendono per mano e percorrono ripetutamente lo spazio con passi, prese, salti, ridisegnando il tempo trascorso insieme sulla base del dualismo e del rovesciamento. Finché, nella frenesia del movimento, uno dei due corpi non crolla a terra e l’unico interprete rimasto in piedi si muove, ritraendo la disperazione solitaria di una veglia funebre.
Fedele alla ciclicità della natura e della morte, la coreografia non tratteggia un unico scenario narrativo ma esplora anche un altro tipo di fine: la lotta e l’uccisione dell’altro, il senso di colpa e il pentimento, la straziante volontà di restituirlo alla vita, resa tramite l’utilizzo di un’asse di legno con cui spostare il corpo inerte, come se si trattasse di una marionetta. L’oggetto di scena si trasforma poi in una tavola, ai due estremi della quale viene consumato un parodico banchetto funebre: fra qualche risata del pubblico, gli artisti inghiottono a morsi le pietre bianche della scenografia, riempiendo l’aria di polvere, per poi tornare a spostarle in silenzio, con una lentezza che riporta ciclicamente all’inizio della performance.
Impilate una sull’altra, le pietre diventano i mattoni di un antico mausoleo, da onorare in silenzio, con il rispetto che si deve ai templi, alle tombe e all’idea della morte. Gli artisti si servono dichiaratamente di simboli e tradizioni provenienti da diverse epoche e civiltà per comporre quello che definiscono un rito da condividere con lo spettatore, liberamente ispirato a elementi noti ma proiettati in un orizzonte originale, al di là del tempo. In realtà, più che una liturgia laica, Ombelichi tenui costituisce una parabola narrativa di cui sono ben individuabili sia le dinamiche che i personaggi. Pur non riuscendo necessariamente a sentirsi parte di un rituale collettivo e astratto, lo spettatore può seguire le tracce di una storia tenera e intensa, punteggiata da connotazioni a volte addirittura caricaturali. «It must be nice to disappear / to have a vanishing act» canta la voce di Lou Reed quando il buio totale invade la sala, traghettando lo spettatore al termine dello spettacolo – a modo suo, un nuovo tipo di fine.
Chiara Carbone
foto di copertina: Giulia Lenzi
OMBELICHI TENUI – BALLATA PER DUE CORPI NELL’ALDILÀ
di e con Filippo Porro e Simone Zambelli
scene e costumi Silvia Dezulian
suono Isacco Venturini
disegno luci Gianni Staropoli
tecnico di tournée Emanuele Cavazzana
consulenza scientifica Cristina Vargas, Marina Sozzi
consulenza drammaturgica Gaia Clotilde Chernetich
produzione AZIONI fuori POSTO
co-produzione Armunia/Festival inequilibrio, Balletto Civile, C&C Company
con il sostegno di Komm Tanz_Passo Nord, progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni, Lavanderie a Vapore/Centro di Residenza per la danza, vincitore Bando AiR 2021, Artisti in Residenza Lavanderie A Vapore di Collegno (TO)
contenuto creato nell’ambito dell’osservatorio critico di Pergine Festival 2022