di Ambra Senatore

Visto al Pim off di Milano_ 20-21 Aprile

Molti di coloro che hanno apprezzato le coreografie trasmesse nella scorsa edizione di “Vieni via con me” (proposte con il titolo “Sfavillante”) forse ignorano che oltre a Roberto Castello di Aldes – che ha firmato il progetto –  era coinvolta una significativa rappresentanza del mondo della danza contemporanea italiana. Oltre alle vere istituzioni come Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, erano presenti anche alcuni dei nomi più interessanti della nuova generazione di autori, come la torinese Ambra Senatore.
Una simile e proficua collaborazione, un riuscito cortocircuito tra esperienze diverse anche se in qualche modo parallele, si verifica anche in “Passo”, vincitore del Premio Equilibrio 2009: oltre ad Ambra Senatore, autrice a tutti gli effetti del progetto, sono in scena quattro danzatori coinvolti in altre note realtà di ricerca italiane (Teatro Sotterraneo, Compagnia Abbondanza/Bertoni, Aldes). Si tratta, non a caso, di interpreti dalle personalità artistiche ben definite, non di meri esecutori; e la partitura scenica sa valorizzarne differenze e specificità, tanto nelle peculiarità estetiche quanto nella molteplicità delle qualità di movimento.

Ambra Senatore – classe 1976 e una formazione completa ed eterogenea che va da Caroline Carlson a Marco Baliani –  dal 2004 sta seguendo una personalissima strada di ricerca autoriale: “Passo” ne testimonia, senza dubbio, il talento e l’originalità. Si tratta di uno spettacolo intelligente, piacevolmente leggero, sottilmente ironico, che indaga i labili confini tra il dentro e il fuori scena, tra imprevisto e improvvisazione e che si fa “metadanza”, senza diventare autoreferenziale. Lo spettatore viene allora condotto in un mondo dove hanno diritto di cittadinanza l’errore e la caduta, il fuori tempo e l’imbarazzo del vuoto di memoria, spesso sottolineati da uno sguardo ammiccante ma mai didascalico. E allora sulla scena si può bere e prendersi una pausa, sorridere al pubblico cercandone la benevolenza, copiare i movimenti del danzatore più vicino perché non si ha idea di cosa fare, e persino scoppiare a ridere. Le partiture coreografiche vengono così continuamente commentate e virgolettate, senza mai perdere cura ed identità.
Ed è proprio identità una delle parole chiave per comprendere il lavoro di Ambra Senatore: i cinque interpreti si presentano al pubblico uguali nella loro divisa – abito blu e parrucca nera –  e interscambiabili nei continui e rapidi fuori e dentro la scena; e sembrano affannarsi, per tutta la durata della perfomance, ad affermare la propria personalità e diversità sugli altri (forse riflessione anch’essa metascenica su una danza che troppo spesso è omologazione tra esecutori identici?). Obiettivo raggiunto, senza alcun dubbio; e non solo perché, alla fine, i danzatori appariranno in differenti vestiti ordinari senza parrucca, ma perché le diversità dello sguardo, del volto e del corpo dei cinque esseri umani sono sotto gli occhi del pubblico per tutto lo spettacolo come uno dei maggiori punti di interesse del lavoro. Ma l’affermazione dell’identità viene proposta non senza un beffardo punto interrogativo, collocato con leggerezza proprio un istante prima degli applausi: cosa succede se proprio l’elemento che in apparenza ci identifica e ci rende riconoscibili –  come la lunga capigliatura ondulata e biondo cenere della Senatore – appare di improvviso sopra un altro corpo?

Sorprende la coerenza del linguaggio drammaturgico, capace di coinvolgere come parti organiche e uniformi il vocabolario coreutico, la parola, le luci (che agiscono come input inaspettati sui performer) e la musica (che, significativamente, è sia eterodiretta che avviata da un computer sul palco, proprio come durante una prova). Una Babele di straordinaria efficacia.

Maddalena Giovannelli