Un tempo esistevano solo ermafroditi. Erano esseri con quattro gambe, quattro braccia e due teste. Poi vennero divisi e da ognuno di essi si generarono due donne, due uomini, oppure un uomo e una donna. Da allora quelle due parti cercano a loro metà perduta.
Così vuole il mito, e così racconta la realtà portata in scena da Babilonia Teatri in Pedigree, ultimo spettacolo della compagnia veneta Leone d’Argento alla scorsa Biennale di Venezia, presentato in anteprima a Castrovillari per Primavera dei Teatri. Il festival torna così su nuove drammaturgie che trovano il coraggio di affrontare di petto temi di attualità: tra questi, le crisi di identità e di coscienza di figli di coppie omosessuali, tra uteri in affitto e banche del seme. L’anno scorso i genitori erano Luca e Tony, i Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata. Quest’anno sono Marta e Perla, mamma e mamma raccontate in scena da Enrico Castellani. Il linguaggio è quello pop che la compagnia veneta ci ha abituato a conoscere: la scrittura schietta e scandita, la recitazione piatta e in apparenza distaccata.
Seduto su una poltrona sidecar fiammante, Castellani dà inizio a una lunga lettera di un figlio al padre “in provetta” inforcando quattro polli su uno spiedo: di fianco a lui un girarrosto elettrico li cuocerà pian piano, emanando un odore di carne bruciata sempre più forte nei cinquanta minuti di spettacolo. D’altra parte a mettere in crisi Castellani-bambino era stato proprio un problema aritmetico legato alla divisione dei polli: come dividerli in parti uguali in una famiglia composta da membri pari? E come dividerli senza un papà?

ph. Andrea Macchia

Marta e Perla sono due abiti bianchi che danzano appesi a due grucce, segni visibili della loro presenza-assenza: Castellani le allontana, le avvicina, le fa volare in aria, le mette infine sotto vuoto nei sacchetti aspira-tutto per risparmiare spazio nel cambio stagione.
Sulle note delle canzoni d’amore di Elvis, da Love me tender a Can’t help falling in love, prendono corpo le incertezze e le aspettative di una generazione “in provetta”: sono le domande sul perché di una scelta, sul proprio riconoscimento in una collettività in cui non ci si vuole sentire “bizzarri”, sul rapporto con una parola – “padre” – da cancellare. Perché il consenso a far conoscere, alla maggiore età del figlio, il proprio nome, non basta a rendere chi ha donato il seme un padre: tutt’al più può portare a creare un gruppo di sconosciuti fratelli sparsi per il mondo – “i frutti del seme di Paul” – connessi via chat che si ritrovano per il Natale.
Le domande poste dal palco toccano diversi punti attorno al tema: il rapporto tra genitori biologici e di fatto, la distanza tra l’identità genetica scritta nel “pedigree” e quella che deriva dalla continuità degli affetti. Niente, forse, che non sapessimo già, o almeno così ci sembra alla fine dello spettacolo. Tuttavia questi interrogativi hanno il merito di porre lo sguardo su questioni che, per quanto possano apparire assodate, restano oggetto di polemica nella superficialità (per nulla scontata) delle cronache quotidiane. Le domande prendono corpo nella crudezza delle parole e nei pochi elementi simbolici che segnano la scena. Tra questi, la presenza di una figura maschile ai margini del palco, rappresentata come di consueto da Luca Scotton alla direzione tecnica, che prenderà il centro della scena solo per una canzone cantata in playback. E, non ultimo, l’odore della carne che gira sugli spiedi. A cottura ultimata, è tempo di mangiarli, i polli: meglio se a morsi, senza tanti problemi di divisione in parti pari.

Francesca Serrazanetti

Pedigree
di Babilonia Teatri – Valeria Raimondi e Enrico Castellani
con Enrico Castellani e con Luca Scotton
produzione Babilonia Teatri, Festival delle Colline Torinesi