Il presente è stato il centro di molte riflessioni di questi ultimi due anni. La pandemia ha messo in discussione tanto il nostro rapporto con il tempo quanto il concetto di presenza fisica. Inteso in tutte le sfaccettature e stratificazioni del termine, il presente è divenuto quindi monito per imparare dal recente passato, guardare al futuro, e ripensare il concetto di qui e ora, senza semplificarlo.
Ma al di là delle esplorazioni artistiche del termine, in modo sempre più incisivo sembra affermarsi la necessità di considerare il presente prendendosi cura di esso, ovvero dei luoghi dell’abitare e delle loro comunità. In questo senso sono molte le realtà artistiche in grado, spesso nei territori decentrati delle aree interne, di agire nel quotidiano con un atteggiamento che, più che della pura direzione artistica, è quello di chi fa gli onori di casa, predisponendo ogni spazio a ospitare le attività di inquilini e ospiti, curando le relazioni di vicinato, programmando i ritmi di una piacevole ed equilibrata gestione domestica. Un esempio di questa tendenza è quello di Officine Papage: lontano dalle luci dei riflettori della scena teatrale mainstream, dal 2012 programma e porta avanti il Festival delle Colline Geotermiche in quel territorio della Toscana lontano dalle rotte turistiche, frequentato dalle comunità di abitanti e della filiera legata alla produzione di energia dell’area geotermica.
La programmazione e le attività laboratoriali proposte nel corso dell’anno proseguono durante l’estate in un calendario di spettacoli in piazza che per quest’edizione ha visto una tre giorni di apertura in cui sono confluiti più eventi e momenti di riflessione. Quello che emerge dal festival toscano, al di là della programmazione artistica che cerca di fare incontrare la ricerca di giovani compagnie, debutti nazionali e spettacoli capaci di attrarre un pubblico di non addetti ai lavori, è il lavoro fatto sul territorio tanto con le realtà produttive e istituzionali quanto con gli abitanti. Pubblico e privato si incontrano in un programma in cui amministrazioni, associazioni, enti e aziende che operano sul territorio contribuiscono a vario titolo alla possibilità di realizzare il festival: il teatro sembra diventare così uno strumento per rendere visibili le risorse locali, rendendone gli abitanti consapevoli.
Più ancora che agli spettacoli, l’attenzione sembra andare allora alla comunità teatrale, ponendosi in ascolto: anche di sé stessi, ma sempre allo scopo di capire meglio l’altro. Gli spettacoli in piazza (nei giorni di apertura abbiamo visto le creazioni di Scena Madre, Gli Omini, La Ribalta) sono il punto di incontro delle comunità dei diversi paesi: il programma tesse infatti una rete tra le piazze di Pomarance, Monteverdi Marittimo, Castelnuovo Val di Cecina, con un pubblico partecipe che, spesso, si muove di piazza in piazza. Libera tutti (Scena Madre) è una riflessione sulla deriva dello sport, in termini educativi e di eccessiva competitività: l’autenticità di ragazze e ragazzi in scena instaura un filo diretto con il pubblico che si sente subito coinvolto. Gli Omini hanno debuttato con il loro nuovo lavoro, Trucioli, un’indagine sulla memoria del tempo presente: i frammenti raccolti dall’osservazione della realtà negli ultimi sedici anni – i “trucioli” dei pezzi usati negli altri spettacoli – compongono un mosaico di parole che aprono scorci sul contemporaneo. È il pubblico a poter scegliere quali “caselle” aprire e dentro quali parole guardare, e Luca Zacchini e Francesco Rotelli hanno un’ironia pungente e un tempo comico perfetto che catturano l’attenzione della piazza di Pomarance.
Tra i lavori di Officine Papage, Rebecca nella sala di Palazzo Bicocchi è una drammaturgia originale al buio, che interroga la presenza dell’attore senza immagini, laddove il buio invita il pubblico a immaginare e contribuisce a creare una dimensione di intimità, proteggendolo. Se la storia raccontata può risultare a tratti didascalica, laddove avrebbero potuto giocare all’immaginazione più non detti, è apprezzabile la libertà lasciata alla fruizione: senza la necessità di stimolare altri sensi, lo spettatore può elaborare in autonomia l’ascolto.
L’introspezione e la riflessione sul controllo raggiungono però una maggiore profondità ne L’imbarazzo dell’infinito: in uno spazio aperto (per chi scrive l’arena geotermica) uno spettatore solo dialoga – attraverso delle cuffie – con una persona (o una macchina programmata per osservarci?) assente: il disorientamento iniziale (devo realmente rispondere o è un trucco performativo?) lascia spazio ben presto alla libertà di interazione, allo stupore di trovare le tracce delle proprie risposte che riemergono nelle parole dell’altro, come in uno specchio. Empatia o fredda programmazione esito dell’ipercontrollo che incombe sulle nostre vite?
Il festival ha aperto, sin dai suoi primi giorni, una domanda sul nostro presente e sulle implicazioni del nostro essere qui e ora, a fare teatro. Abbiamo davvero bisogno del teatro? Di un teatro inteso come incontro, come comunità, come relazione, come opportunità che ci incoraggia a chiederci: è questo il presente che vogliamo?
Francesca Serrazanetti
LIBERA TUTTI
regia e drammaturgia Michelangelo Frola e Marta Abate
con Simone Benelli, Damiano Grondona/Francesco Fontana, Nino Le Chevalier, Chiara Leugio, Sofia Pagano Soares
produzione ScenaMadre
co-produzione Gli Scarti
con il sostegno di Comune di Genova – progetto Start and Go, Teatro Pubblico Ligure
in collaborazione con Teatro Nazionale di Genova
TRUCIOLI
drammaturgia Giulia Zacchini
con Francesco Rotelli e Luca Zacchini
produzione Teatro Metastasio
in collaborazione con Gli Omini
L’IMBARAZZO DELL’INFINITO. Esperienza per spettatore solo
ispirato a L’uomo bicentenario di Isaac Asimov
drammaturgia Mariagiulia Colace
con Marco Pasquinucci
produzione Officine Papage
REBECCA. Uno spettacolo al buio
dal romanzo La vita accanto di Mariapia Veladiano
adattamento e regia Marco Pasquinucci
con Marco Pasquinucci
voci Emanuele Niego, Caterina Simonelli, Ilaria Pardini, Cecilia Vecchio
audio Diego Ribechini
sound designer Mattia Loris Siboni
primo spettatore Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari
produzione Officine Papage, Teatro della Caduta