C’è quasi sempre un momento, durante una performance di danza, in cui qualcosa accade e genera un cambio improvviso. Che il cambio poi riguardi il ritmo, il gesto, l’interazione con lo spazio o con la musica, lo spettatore non può che prenderne simultanea coscienza. In Studio sul Fauno l’alterazione arriva proprio all’inizio della performance, in cui Filippo Domini, timido e a tratti animalesco, si muove inizialmente cauto come in esplorazione e poi d’un tratto, quasi invasato, si lancia al centro del grande protagonista della scena: un tappeto.
Lo spettacolo, nella forma del performative speech, non dura neanche mezz’ora e alterna la voce di Roberto Zappalà all’esibizione del fauno-danzatore. Una cornice introduttiva da parte del coreografo è d’obbligo, perché fornisce le coordinate per seguire il suo Studio e coglierne rimandi e citazioni. Sulle note pop di Giuni Russo e dei Beatles, Zappalà rassicura lo spettatore: le sue divagazioni musicali lo avvicineranno al cuore dello spettacolo, costruito sul Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy. La composizione si ispira all’omonimo poema di Mallarmé in cui, in un agosto soffocante alle pendici dell’Etna, un fauno si risveglia dal sonno pomeridiano e si abbandona a fantasie sessuali.
Parola, musica e danza si confondono e si dispongono entro una gerarchia ben precisa: il preludio iniziale di parole, definito da Zappalà «il lato B della danza», permette di visualizzarne il «lato A», che impiega un altro sistema espressivo, un linguaggio che ha a che fare con l’estetica e con il pensiero. La musica, chiarisce infine il coreografo, è semplice colonna sonora: il gesto non è mai pensato a partire dal suono, ma è sempre il contrario; e forse è per questo che il Preludio viene preferito nella sua riscrittura al pianoforte: la composizione originale per orchestra viene ridotta per spiegare, per rendere accessibile.
Il fauno si muove diffidente lungo il perimetro del tappeto che diventa l’unico spazio abitabile: lo osserva, lo sfiora con la punta di un piede, poi con l’altro, finché il contatto, da minimo, diventa totale. Il passaggio è fulmineo: il danzatore si sdraia e si appiattisce su questa superficie colorata, le due entità — l’una animata, l’altra no — si confondono anche a livello cromatico: gli indumenti del fauno hanno i colori caldi della terra, come quelli del tappeto.  Su questo quadrato di mondo, il movimento del fauno procede scomposto e viene progressivamente sessualizzato — anche al livello sonoro — in un modo a tratti disturbante. La sua gestualità è tutt’altro che lineare ed esibisce tratti spiccatamente erotici; le sue movenze, spezzate e disarmoniche, si richiamano, in un certo senso, proprio all’arte greca del periodo arcaico. Quasi incapace di controllare il suo corpo, il fauno è costretto a spostare meccanicamente le gambe afferrandole con le mani, come se gli arti inferiori non rispondessero più agli impulsi. Ciò non stupisce se si pensa all’origine mitologica della figura: divinità naturale dal corpo umano e i piedi e le corna caprine, Fauno — identificato con il dio greco Pan — è votato alla caccia e al corteggiamento delle ninfe. La sua condizione sintetica e liminare racchiude dunque in sé l’uomo e la bestia ed è vinta in partenza dal suo istinto sessuale anarchico.
Insistendo esplicitamente su questa ferinità che è dentro ogni uomo e che a volte rischia di sovrastarlo, Zappalà costruisce un lavoro inedito ma stratificato, nutrito di rimandi e denso di citazioni – il richiamo a Nižinskij, che nel primo Novecento fu coreografo e protagonista di un balletto sulle note del Preludio, generatore di scandalo già dopo la prima rappresentazione, è evidente.
Nello Studio, l’Etna si impone come culla e come mamma, riparo e giaciglio del fauno in preda al delirio erotico, e diviene un pretesto per la celebrazione — da parte del coreografo — della Sicilia tutta. Il vulcano si impone come luogo di fantasia e accoglienza, un po’ come il tappeto, su cui infine il fauno si adagia, quando il fresco della sera sopraggiunge ad alleggerire l’aria. A gambe incrociate, appoggia delicatamente le braccia sulle ginocchia, come nella più tradizionale posizione yoga — sukhasana: ha forse raggiunto il compimento estatico del piacere, oppure ha placato i suoi sensi attraverso una personalissima opera di rinuncia?

Giulia Russino


foto di copertina: Pietro Bondi

coreografia Roberto Zappalà
testo Nello Calabrò
danza Filippo Domini
musiche Claude Debussy Prélude à l’Après-midi d’un faune (per piano solo)
Giuni Russo/Franco Battiato, The Beatles, Miklós Rózsa
speech Roberto Zappalà
una produzione Scenario Pubblico / Compagnia Zappalà Danza Centro di rilevante interesse nazionale
in coproduzione con Festival MILANoLTRE
in collaborazione con FU ME Festival e Cilentart Fest
con il sostegno di MIC Ministero della Cultura e Regione Sicilia Ass.to del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo


Questo contenuto è parte dell’osservatorio critico MILANoLTREview