Grazie all’editore Nowhere Books lo scorso anno, a partire dal nostro focus sulla drammaturgia contemporanea, è nata la collana di drammaturgia Calapranzi. Dopo Notte senza stelle di Bernhard Studlar, il 2021 si è chiuso con la pubblicazione di Alba (o il giardino delle delizie) del drammaturgo catalano Marc Artigau i Queralt. Pubblichiamo qui un estratto della prefazione, firmata da Riccardo Corcione.


Un piccolo essere, fra i tanti che popolano il celebre Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, torna ciclicamente in Alba (o il giardino delle delizie) di Marc Artigau: un pesce, con mani d’uomo e becco d’uccello, che legge un libro a pelo d’acqua. «L’unico oggetto fabbricato» presente nel primo riquadro del trittico rinascimentale, La creazione, è interpretato dal personaggio di Alba come indicazione morale verso una conoscenza salvifica, buona. E oggi? Vale lo stesso? «La conoscenza è l’unica cosa che ci può salvare»?

Questa è solo una delle grandi domande che ci pone Alba o il giardino delle delizie. Il libro letto dalla creatura viene finalmente afferrato e aperto nell’ultima scena della drammaturgia, rivelandosi un libro di fotografie, di ricordi. Non si poteva essere più espliciti: conoscere il tempo, controllare la memoria, creare identità è la grande hỳbris, la superbia peccaminosa del mondo terreno, e insieme l’ideale edenico, la fine dei mali, nel mondo ideale dell’uomo di ieri e di oggi. La lontananza, l’impossibilità di quella condizione è stata e in un certo senso rimane fonte di vita, e pure di sofferenza. Eppure, nel presente più che nel passato, mancano strutture teologiche o ideologiche per compensare (o alleviare) desideri e dolori. Inoltre l’uomo sembra aver ridotto e ridurre quella distanza grazie a strumenti sempre più autonomi: macchine pensanti, intelligenze artificiali, software e algoritmi sempre più potenti, sempre più presenti nelle nostre vite, sempre più invadenti e sostituenti – più che replicanti, come si usava dire qualche decennio fa. Come Bosch ha pescato a piene mani da tecniche, simboli e letture dal proprio tempo, anche Artigau si serve dell’immaginario tecnologico e scientifico per il suo giardino delle delizie. La differenza sostanziale è che la “creazione” edenica, la sfida al tempo, nel quadro è di origine divina, nel testo è esclusivamente umana.

Hieronymus Bosch, Il Giardino delle Delizie, 1480-1490, dettaglio

Alba non è ambientato in un futuro così distante dal nostro tempo: il mondo in cui si muovono due settantenni, Alba e Uomo, ci appare del tutto familiare, tranne che per la presenza di un robot, J-Alba, una copia fedele di Alba a vent’anni che, dall’acquisto, la “accompagna” e vive con lei. 

Qualche lettore troverà non poche analogie con la nostra Siri (o chi per lei), di cui J. appare una semplice evoluzione fisica. Del resto, film come S1m0ne di Andrew Niccol (2002), Her di Spike Jonze (2013) o Ex Machina di Alex Garland (2014), oltre a serie altrettanto celebri come Black Mirror (2011-2019), hanno nutrito il nostro immaginario degli ultimi anni, abituandoci a macchine antropomorfe seducenti (per lo più femminili, va detto) che entrano nelle nostre vite, offrono soluzioni e compromessi ai nostri mali, in alcuni casi giocano con il tempo e annullano la distanza di cui si parlava.

Alba (o el jardí de les delícies), Marc Artigau – Raimon Molins

Alba si aggiunge a questi titoli, occupa grossomodo lo stesso filone tematico, eppure offre una prospettiva molto diversa. Una prospettiva teatrale, anzitutto. Se il lettore-spettatore potrà inizialmente storcere il naso (“mai fare sci-fi a teatro! Non ci sono gli effetti speciali!”), si ricrederà scena dopo scena. Almeno due sono le direzioni in cui la teatralità caratterizza questa storia sul mistero dell’uomo, sul tempo e sull’amore: una è di tipo corporeo, e tiene conto della presenza viva dei corpi, della loro nudità non solo estetica ma materica, “naturale”, della loro sessualità, dei segni del tempo che vi si accumulano; l’altra riguarda una compresenza di elementi scenici e prospettici (che l’unidirezionalità e la bidimensionalità dello schermo faticano a esprimere), quindi una densità artistica e intellettuale che permette una dialettica viva con altri linguaggi artistici. 

Queste due direzioni sono fondamentali nel testo di Artigau. Partiamo dall’ultima per descrivere la struttura tripartita, che riprende fin dai titoli il trittico di Bosch: La creazione, Il giardino, L’inferno. Il drammaturgo, poeta e romanziere catalano non è nuovo a questi dialoghi originali con il passato, in particolare con la tradizione biblica: basterà citare un titolo che precede questo di soli due anni, Caïm i Abel (2016). In questo caso, non si tratta di un mero omaggio al pittore fiammingo, ma di una consonanza di percorso. Nella Creazione, laddove Bosch figura il giardino edenico e la scena della Genesi, il drammaturgo ci presenta Alba (una storica dell’arte, in procinto di preparare una conferenza proprio sul trittico rinascimentale) e la sua nuova «accompagnante», che apprende dati, abitudini e si veste con i vecchi abiti della proprietaria. E poi l’Uomo, scioccato dalla perfezione con cui J-Alba somiglia all’Alba ventenne di cui si era innamorato, discute turbato sul significato della scelta di Alba, la interpreta come un errore, un rifugiarsi nel passato per paura di invecchiare e di affrontare il presente. Da buon professore di letteratura, non può non citare Dorian Gray. Nel loro Giardino sia Bosch sia Artigau esplorano l’amore e la ricerca del piacere, nel primo caso con una festa di colori, floridezza e coreografie, nel secondo con una «festa dei ricordi», in cui l’Uomo annulla la nostalgia rivivendo con J. i momenti di una relazione amorosa, quella con Alba, col tempo mutata in un affetto più distaccato – e il tanto rievocare finisce per trasformarsi in qualcosa di più vivo e corporeo. L’inferno parla della vittoria delle tentazioni sull’uomo e del corpo che da strumento di piacere si trasforma in oggetto di tortura: questa sarà la sorte dei personaggi di Alba (o il giardino delle delizie), colpevoli di non sapere affrontare il tempo e la memoria, che diventano fardelli insostenibili. Questo “pianto per il tempo” che fa di colpo crollare i personaggi consuona con la disarmonia degli strumenti musicali (e di tortura) del terzo pannello di Bosch.

Alba (o el jardí de les delícies), Marc Artigau – Raimon Molins

Come il pittore fiammingo, e come ogni artista, però, Artigau non costringe tematiche così ampie in uno schema rigido e soffocante. Non tenta di rispondere alle grandi domande che emergono leggendo Alba: cosa vuol dire, oggi, umano? Qual è il confine fra umano e non-umano? I personaggi offrono due prospettive opposte, e tali resteranno fino all’ultima battuta. Non vi sono richiami a Jacques Derrida o a Donna Haraway, e neppure a Rosi Braidotti, per quanto le questioni sollevate da questi filosofi e filosofe trovino una certa eco in opere come questa. Alba, d’altro canto, catalizza turbamenti attuali e nodi del contemporaneo che ricadono nella nostra quotidianità e decostruiscono parole come “umano”, “relazioni”, “tempo”.

ALBA: Perché alla fine hai capito che il mondo è miserabile. E io ho capito che non faccio del male a nessuno. Sono sola, J. mi aiuta a comprendere una parte della mia vita che non potrà mai più tornare. Me ne rendo conto, va bene così. Diventiamo vecchi, sì. Il tempo non è altro che lo spazio che c’è tra un ricordo e l’altro. Quante volte ho pensato a com’eravamo venti o trent’anni fa? Non eravamo noi, eravamo qualcun altro che abitava un corpo simile al nostro, preoccupati da cose che ora non ci preoccupano più, desiderando persone che oggi ci annoiano. J. non è me. È la mia memoria. È per questo che le chiedo di interiorizzare i libri che mi hanno emozionata, i film che mi hanno entusiasmata e poi, le parlo di quello che ho vissuto. Faccio del male a qualcuno? Ha guardato le fotografie, ha elaborato tutte le informazioni dei social… E quindi? Che c’è di male se io, liberamente, scelgo che mi accompagni la mia memoria?

UOMO: È come imbrogliare.

Per quanto il futuro costruito da Artigau possa apparirci lontano, in realtà parla di questioni estremamente presenti. Prima fra tutte quella della memoria, che stiamo demandando sempre più alla tecnologia: non solo una memoria esclusivamente formale, culturale, professionale, ma anche e soprattutto una memoria personale – sempre più affidata, gestita, strutturata da software e social. E quindi viene anche modificata, ri-creata. Il consenso sociale a questo appalto della memoria è arrivato in sordina, lo abbiamo dato attivando un qualsiasi dispositivo, accedendo a google o a safari. Perciò, prima di condannare le parole di Alba, pensiamoci bene.

Riccardo Corcione