di Maddalena Giovannelli
Al centro del contributo, un’analisi dell’allestimento presentato da Massimo Popolizio alla scorsa Biennale di Venezia: un Aristofane nato nel territorio periferico di Tor Bella Monaca e interpretato, oltre che da 11 professionisti, anche da 19 non professionisti scelti tra gli abitanti del territorio. La trattazione si concentra dapprima sulle scelte di regia: la decisione di ambientare la commedia nel dopoguerra italiano, e di immaginare il Coro come un pugno di lavoratori proiettati verso il boom economico; la consapevole forzatura sull’originale aristofaneo allo scopo di ottenere l’affresco di una generazione, che sogna un illimitato benessere sociale ma è destinata a corrompersi; il lavoro sugli attori e sui movimenti per una messinscena dalla decisa coralità. L’articolo passa poi ad analizzare la drammaturgia: il cuore dell’allestimento è infatti una riscrittura scenica curata ad hoc da Stefano Ricci e Gianni Forte. La lingua scelta – che viene esaminata in dettaglio in alcuni passi ritenuti significativi – si presenta come un romanesco dai molti echi letterari che connota la collocazione geografica senza scendere nel naturalistico. Il contributo prende in considerazione, oltre ad una bibliografia specialistica, anche la rassegna stampa di riferimento e alcune interviste rilasciate alla Redazione dal regista e dai drammaturghi.