di Matteo Levaggi/Corpicrudi
visto all’Elfo Puccini nell’ambito di MilanOltre_14/04/2014
This is the room, the start of it all.
Un faretto illumina il centro della sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini. Le poltrone sono accatastate sul fondo e un riquadro rosso delimita lo spazio: “non oltrepassate le linee” chiedono le maschere a un pubblico disorientato. Sono gli stessi spettatori a circoscrivere il palco al cui interno, oltre il compatto muro di corpi, un triangolo bianco racchiude un uomo sdraiato per terra. È il coreografo Matteo Levaggi, che sul palco si mette in gioco anche come danzatore. Dietro di lui, una donna appoggiata al muro pare sovrastarlo, mentre sulla sinistra, nella penombra, s’intuisce una formazione rock, che entrerà a far parte a tutti gli effetti della partitura drammaturgica dello spettacolo. A destra, Sergio Frazzingaro è seduto su uno scranno, immobile e statuario, mentre i due danzatori – accanto a Levaggi, Samantha Stella – cominciano ad animarsi come icone che prendono vita respiro dopo respiro, movimento dopo movimento.
Inizia così Preludio per una sinfonia in nero, nato da una collaborazione tra Levaggi e l’ensemble di artisti visivi Corpicrudi e accompagnato dalle musiche dei Joy Division e dal concerto live dei The Death of Anna Karina.
L’appuntamento – presentato come anticipazione del cartellone autunnale MilanOltre 2014, insieme a un incontro con Roberto Bolle, fuoriclasse del repertorio classico – segna un ritorno di Levaggi nelle sale dell’Elfo. Dopo la creazione SEXXX, proposta nella scorsa edizione della rassegna (ottobre 2013), il coreografo sembra qui uscire dalla gabbia di un impianto coreografico tradizionale, per proporre al pubblico un esperimento spiazzante, non consequenziale, che lascia allo spettatore il compito di scegliere da quale prospettiva guardare.
L’affascinante performance – dove si fondono luce e buio, vita e morte, eternità e caducità, decadenza dei nostri tempi e tensione verso un rigore classico – ha poche regole. L’unica costante immediatamente riconoscibile è l’assenza quasi totale di contatto fisico tra i due danzatori, che agiscono nello spazio come entità autonome e svincolate, quasi considerassero ogni incontro un evento limitante. Nelle parole di Samantha Stella il movimento è un grido nel nero dell’infinita notte evocata da William Blake nel poema Auguries of Innocence. Un grido che è anche risposta al mondo (“testimonianza di un momento storico che non può non urlare”, suggerisce Levaggi), energia senza destinatario, sprigionata nel vortice cinetico impazzito dei due danzatori sulla scena.
Giulio Bellotto